storie
Sabatino e Lucia
“Erano trascorsi circa sette anni dall'ultima volta che mia moglie era rimasta incinta” racconta Sabatino. È un uomo semplice, la testa riccioluta, le guance rosee e la voce mal ferma. Seduta accanto a lui c’è sua moglie; il corpo voluttuoso è quello di una donna che ha partorito molti figli, ha lunghi capelli neri e straordinari occhi verdi che tiene spesso bassi. Per quasi tutta la nostra conversazione è sempre lui a parlare; Lucia non dice che qualche mezza parola, interrotta di tanto in tanto da cenni di conferma.
“Non avevamo una posizione economica in grado di poter sostenere un altro figlio. Lavoro solo io” dice Sabatino, “mia moglie stava a casa ad accudire i nostri due figli. Quando mi disse che era incinta, io pensai che dove mangiavano tre, avrebbero mangiato anche quattro.
La gravidanza andava bene, andava benissimo, ci dicevano che i valori delle analisi erano alti, che era tutto a posto, il bambino era sano e cresceva bene. Decidemmo di chiamarlo Luigi come mio padre”. “Il giorno del parto, quando riportarono Lucia nella stanza, io domandai notizie del bambino, non ce l’avevano ancora fatto vedere e non lo portarono da noi per molto tempo. Lucia era preoccupata, ed io la rassicuravo ma infondo avevo paura”, si umetta le labbra, si schiarisce la voce e poi riprende, “Vennero da noi dopo un po’ di tempo e ci dissero che Luigi era malato. Non conoscevano ancora l’intensità della malattia, ma i suoi muscoli non funzionavano”. Lucia abbassa la testa commossa, mentre io mi sistemo sulla sedia pensando a cosa dovessero aver provato quelle due povere persone. “Ipotemia Muscolare” bisbiglia Sabatino tartagliando, “non riusciva a controllare i muscoli, erano flaccidi, si potevano modellare e attorcigliare come le budella di un animale”. Lucia ingoiò a vuoto tentando di mandare giù anche quell’irrefrenabile voglia di piangere. “Da dove dovevamo partire? Non lo sapevamo nemmeno noi!” mi confessa Sabatino, “siamo gente semplice, non abbiamo studiato, abbiamo sempre lavorato nella nostra vita e facevamo difficoltà anche a capire che cosa avesse nostro figlio. Vedevamo che il tempo passava e lui non muoveva le braccia, le gambe, niente. Lo abbiamo portato dai dottori più importanti di Napoli; ci consigliarono di andare da alcuni specialisti e Roma e poi a Milano e noi affrontavamo viaggi e spese, affidandoci unicamente alle mani di Dio. Ogni volta ci chiedevamo: come faremo? Non abbiamo soldi, ma poi riuscivamo sempre a cavarcela, con l’aiuto di qualche amico, un lavoro improvviso e quant’altro: Dio trova sempre un canale perché la sua provvidenza ti raggiunga. Io lavoravo giorno e notte per pagare i medici, le medicine e le analisi che il nostro piccolo Luigi doveva fare, ma non vedevamo miglioramenti”.
“Un giorno, era di domenica, mi alzai da tavola e mi andai a mettere a letto perché improvvisamente mi sentivo stanco” abbassa gli occhi per un attimo, poi li rialza e dice in un soffio: “mi addormentai. Sognai di essere davanti ad un altare con Luigi in braccio e una voce che mi diceva ‘Non ti preoccupare Sabatino! Tuo figlio starà bene’. Mi risvegliai di impatto, con uno strano senso d’angoscia che mi opprimeva il petto” mormora sfregandosi la gola con il palmo di una mano callosa. “Sapete!” riprende invece lui congiungendo le mani sul tavolo, “io sono sempre stato cristiano, ma di quelli che vanno a messa a Natale e a Pasqua. In fondo credevo in Dio, ma lo sentivo sempre troppo distante da me, e così non diedi troppa importanza a quel sogno. Non tentai nemmeno di spiegarmelo. Ero talmente confuso e agitato per tutto quello che mi stava succedendo, che non prestai alcuna attenzione a quel giorno. Alcune settimane dopo andammo a Milano per una biopsia muscolare. Io e mia moglie eravamo sfiduciati, avevamo la certezza di sentirci dire le stesse parole di sempre, e invece” si interrompe trattenendo a stento le lacrime, poi riprende con la voce esitante, “ci dissero che il bambino aveva recuperato l’uso delle braccia e noi non riuscivamo a crederci, ma lo vedevamo con i nostri occhi agitare le braccia come non aveva mai fatto prima. Ho letto e riletto il risultato della biopsia ancora e ancora fino a memorizzare ogni virgola. I medici non si spiegavano quel miglioramento, uno di loro usò la parola miracolo ed io, pur serbando il ricordo di quel sogno nel mio cuore, ma non lo raccontai a nessuno, né in quel momento, né per molto tempo. Fecero altri esami e ci dissero che il bambino aveva buone possibilità di camminare e di vivere come una persona normale, ma aveva bisogno di allenamenti particolari e di cure specifiche. In questa condizione scoprimmo di aspettare un altro bambino. Luigi aveva appena compiuto tre mesi. Fui travolto da un impeto di paura, terrore, non capivo più nulla, sapevo solo che il poco che guadagnavo serviva per Luigi e che non c’era spazio in quel momento nella nostra vita per un altro bambino. E così io e Lucia decidemmo di abortire. Non fu una decisione facile. Io credo che nessun genitore possa prendere una decisione come questa, senza pensarci almeno una volta, ma eravamo convinti di volerlo fare, eravamo convinti che quella era la strada giusta. Poi un giorno, mentre eravamo a cena a casa di alcuni amici conoscemmo una coppia, Alberto e Lucia. Avevano un viso dolcissimo, la voce docile e rassicurante, entrammo subito in confidenza, una sintonia speciale e inspiegabile che ci permise di aprirci e raccontare loro il nostro dramma.
Ci spiegarono cosa era un aborto: non ce l’aveva detto mai nessuno. Comunemente si crede ancora che in fondo si tratta solo di un pezzo di carne, un grumolo di sangue. Alberto e Lucia ci dissero che il bambino, perché l’embrione è un bambino, soffre, urla e si dibatte, ma nessuno lo può sentire. Dopo aver parlato con loro sia io che Lucia decidemmo che non avremmo mai fatto una cosa del genere a nostro figlio, soprattutto dopo quello che era successo a Luigi. L’avevamo visto soffrire e avremmo dato qualsiasi cosa perché fossimo noi al suo posto, non avremmo mai inflitto per libera scelta, una sofferenza diversa ad un altro dei nostri figli. Comunicammo la notizia al medico che teneva in cura Luigi e lui ci disse che probabilmente anche questo secondo bambino sarebbe nato con la stessa sindrome di suo fratello. Io e Lucia ci guardammo sconfortati, mentre il dottore ci mostrava l’aborto come la soluzione più giusta. Tra me e mia moglie bastò un’occhiata per decidere: la nostra risposta era no. Il Signore ci aveva seguito passo per passo nella storia di Luigi, io e Lucia eravamo convinti che quest’altro figlio era un dono suo e che pertanto se anche fosse nato malato, avremmo lottato e sperato come avevamo già fatto. Sa com’è? La Sofferenza rende più forti. Per il medico noi eravamo solo dei pazzi idealisti. Criminali senza scrupoli nel mettere al mondo un bambino malato, ma nemmeno lui ne aveva la certezza. La verità è che oggi negli ospedali si parla di aborti come di un qualcosa di giusto e legittimo quanto una gravidanza”, si massaggia le tempie e poi racconta “io non lo so che cos’ho fatto per meritare una grazia come quella che ho avuto, so solo che quei nove mesi sembrarono interminabili e che noi alternavamo momenti di lucida follia, a momenti di disperazione assoluta. Lei non può immaginare per grazia di Dio, come si può sentire un genitore nel vedere il proprio figlio soffrire, nel chiedersi se riuscirà a sopravvivere. In ogni caso, mia moglie portò avanti la gravidanza e arrivò il giorno del parto. Io tremavo, Lucia anche, tutta la nostra famiglia era sulle spine, con le mani giunte e gli occhi rivolti verso l’alto.
Poche ore dopo la nascita ci dissero che il bambino, un altro maschio, era perfettamente sano” tirai un sospiro di sollievo, mentre Sabatino sorridendo riprese il suo racconto, “Lucia e Alberto, i due volontari che per tutto il tempo della gravidanza, ci hanno assistito, consolato e incoraggiato, ci suggerirono un nome per questo bambino: Emanuele, Dio con noi.
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