XX DOMENICA DEL T. O. – B

“Dio è tutta la nostra ricchezza a sufficienza”

di fra Vincenzo Ippolito

Dio non riesce a stare senza l’uomo, come l’amante non si dà pace lontano dall’amato. L’amore vive, per sua intima natura, del desiderio di rimanere nell’altro, in tutto ciò che l’altro è ed ha, nella sua mente e nel suo cuore, nella sua anima e nel suo corpo.

Testo Gv 6, 51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.

Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».


 

Siamo nella sinagoga di Cafarnao dove l’evangelista Giovanni ci ha condotto già da alcune domeniche per ascoltare Gesù. Ancora oggi le pietre di quella sinagoga, scampate all’oblio del tempo e all’incuria degli uomini, a chi le guarda con gli occhi del cuore, testimoniano la parola sconvolgente del Maestro che le folle non riescono e non vogliono comprendere. Tra questa gente siamo anche noi, pronti – ce lo auguriamo di cuore! – a credere in Colui che, Figlio di Dio fatto uomo, si dona come pane di vita che dura per sempre.

Cercare il bene e dire la verità per amore

Siamo giunti al punto nevralgico del capitolo sesto del quarto Vangelo. Gesù, quasi incurante dell’aperta opposizione dimostrata dai suoi ascoltatori, incalza con la sua parola, nell’unico desiderio di rivelare la sua identità a coloro che, pur professandosi stirpe di Abramo, del grande patriarca non hanno la fede. Se l’avessero, sarebbero ben pronti ad unirsi alla schiera dei discepoli per entrare nella salvezza. Gesù ama e chi vuol bene sul serio dice e fa la verità, senza paura, la offre nel rispetto della sensibilità altrui, dei tempi e della capacità di comprendere dell’altro, ma non si ritrae dinanzi al vero e al bene da dire e fare. Cristo ama quelle folle che lo seguono perché sfamate nel corpo e non può permettere di lasciarle nell’ignoranza per quieto vivere. È disceso dal cielo per fare la volontà del Padre (cf. Gv 6,38) e questa è la volontà del Padre mio che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato (Gv 6,39). Il Signore desidera non perdere nessuno lungo la strada che conduce al Padre, non darsi pace finché tutti gli uomini non giungano a conoscere l’amore di Dio. Non darsi pace, non darsi tregua: è questo il chiodo fisso di Gesù.

C’è una sola strada per non perdere il bene dell’altro ed è quella della verità nell’amore. Dal segno alla realtà; dal pane che sfama il corpo all’amore che nutre il cuore; dall’incapacità a capire alla docilità a farsi condurre: è questa la via, l’unica via che Gesù segue per far maturare gli altri ed Egli la imbocca senza paura, incurante di sé, proteso ad amare gli uomini. Non teme il fallimento e la sconfitta, la derisione o il disprezzo. Desiderare il bene dell’altro secondo Dio: è questa la sua fame, il desiderio che dentro lo consuma come un battesimo da ricevere, come un fuoco che divora l’anima. Perché Gesù continua a parlare a gente che non vuole ascoltare? Perché mai dona la sua Parola, concede la sua Presenza a chi è disposto ad accontentarsi di poco? Egli vuol dare la vita eterna e le folle cercano il pane che perisce; il Figlio di Maria vuol nutrire nel cuore la nostalgia di Dio, del suo volto di luce ed essi perdono tempo in discorsi che non conducono a nulla!

Quanta pazienza dimostra Gesù! Quanto amore in Lui è la radice del suo coraggio, della volontà di cercare il bene, di donare il bello, di estinguere le contese, di fugare le difficoltà, di vincere la solitudine creaturale, della sua proposta di vita vera in abbondanza! Perché siamo, al pari delle folle, così tarati mentalmente davanti a Lui? Perché mai la sua parola non ci scuote come un giorno Zaccheo, il suo sguardo non ci converte come Levi, la sua mano non risolleva la nostra vita, come Pietro tirato dai flutti per la mano onnipotente del Redentore? Fino a quando Gesù dovrà parlare invano nella nostra vita? Fino a quando le persone che mi sono vicine dovranno chiedermi di fare quel salto di fede che mi fa divenire migliore?

La famiglia è come la sinagoga di Cafarnao: uno parla per amore e l’altro si chiude e fa finta di capire per egoismo; il primo incalza perché ci si corregga e l’altro subisce il rimprovero con il silenzio che non conduce, se non di facciata, ad un reale mutamento del cuore. Cafarnao è la nostra casa quando non si parla la stessa lingua, quando si sente senza ascoltare, quando la nostra mente, fissa su preconcetti, non è disposta ad accogliere il verità che l’altro ci dona. Cafarnao è il nostro essere sposi quando la parola dell’altro mi dona la verità della sua vita ed io non la voglio, mi offre la sua storia e io non la accetto, mi mostra il suo vero volto ed io, arroccato su ciò che voglio l’altro sia per me, lo rifiuto. Cafarnao è la nostra famiglia quando la parola del Vangelo rimbalza sul muro della sinagoga del nostro cuore, quando la vita così ci sta bene e quel po’ di tempo che dedichiamo al Signore ci sembra bastare ed avanzare, quando la gioia della Presenza di Cristo non è pietra angolare del nostro vivere insieme, radice dei nostri gesti e delle nostre parole.

La vita come pane

L’identità di Gesù sta nel suo essere pane, nel farsi nostro cibo, nel nutrire il nostro desiderio di cielo, nel sostenere il nostro cammino, smorzando l’arsura del caldo e la fame, quella dell’anima, i cui morsi sono difficilmente calmabili. La gente ha paura dell’identità di Gesù, ha timore di entrare nelle profondità del suo mistero d’amore. Non è semplice accogliere l’altro quando apre il tesoro del suo cuore inquieto, quando si racconta, raccogliendo i cocci della propria vita perché le tue mani, per la grazia del sacramento nuziale vissuto insieme, riplasmino quella creata che agli occhi del mondo è buona solo per essere gettata via. Dire il proprio amore senza paura, offrire il vero volto di sé senza timore: questo fa Gesù. Egli sa che il suo volto è quello del Padre, che la sua identità sfama le folle più del pane avanzato nelle dodici ceste. Solo la vita nutre e sfama, solo l’amore donato con gratuità disseta sul serio. Cristo vuol risolvere il problema della vita alla radice, donando di accedere senza paura all’albero della vita che un giorno fu proibito per Adamo ed Eva. Gesù è l’albero della vita, i suoi frutti sono a nostra disposizione; il Signore è la sorgente che fa zampillare l’acqua viva, la sola che disseta il cuore umano. Gesù dicendo di essere pane sta restituendo all’uomo la bellezza dei rapporti secondo il progetto del Padre, nella creazione del mondo. Il Figlio di Maria rivela da un lato la fame dell’uomo, quella vera che, come un tarlo, corrode l’anima, dall’altro mostra che l’amore, quello vero, è l’unico cibo che non perisce. Io sono nutrito dalla presenza dell’altro nella mia vita, il suo sguardo accogliente nutre il mio desiderio di abbracciare il mio nulla, la sua parola sfama le mie insicurezze e le vince, la sua presenza mi fa crescere. Io posso anche non mangiare un giorno e più, ma non posso vivere senza la presenza dell’altro/a che amo più di me stesso ed insieme, come coppia e famiglia, non possiamo vivere senza la Presenza di Colui che si definisce il Dio con noi. Il suo essere in mezzo a noi ci basta, basta come l’abbraccio dell’amante basta all’amato, come il sorriso dello sposo accoglie la sua sposa già da lontano, come la voce del diletto incanta l’anima della sua donna tra mille suoni che non sono voce, perché unica è la voce dell’amore che nutre il cuore e fa crescere con la vita che riceve in dono.

Gesù è pane: la sua Presenza nutre, la sua vicinanza sostiene, la sua grazia risana, il suo amore previene, la sua benevolenza perdona, la sua misericordia solleva. Ecco perché Francesco d’Assisi può dire al Cristo crocifisso che, come serafino alato, nutre il suo desiderio di amore: Tu sei tutta la nostra ricchezza a sufficienza. Il Padre dona questo pane a noi per camminare nell’amore, per non soccombere al male, per non essere vinti dallo scoraggiamento, per essere saldi nella fede anche davanti alla morte. Dio nutre me e la mia famiglia con un trasporto ancora più grande del desiderio che colui/colei che ho accanto viva della mia stesa vita. Questo è l’amore: desiderare che l’altro viva della mia vita, perché nessuna cosa può nutrirlo di amore più del mio sangue, può sostenerlo più del mio corpo, può custodirlo più delle mie membra. L’altro è la mia unica ricchezza, senza lui non vivo, senza la sua voce non mi solevo dalla prostrazione, senza la sua presenza mi manca il sole. Gesù è tutto per la famiglia perché solo lui ci dona la possibilità di comprendere che sono poche le cose che contano nella nostra vita, ovvero l’amare ed essere amati.

La somiglianza, quale prova suprema d’amore

Ma c’è una meta segreta alla quale san Giovanni vuol farci arrivare in questa pagina, che è poi il punto più alto al quale il discepolo di Cristo deve giungere, vincendo le vertigini della salita sul nuovo Sinai. Gesù vuole rimanere in noi, sempre. La vita che Egli è per me, per noi dura, rimane, non passa, perché lui estingue ogni sete – chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete – smorza ogni fame perché solo Lui nutre per sempre, solo il suo amore è per sempre, solo in Lui l’amore degli sposi è per tutta la vita. Dio non riesce a stare senza l’uomo, come l’amante non si dà pace lontano dall’amato. L’amore vive, per sua intima natura, del desiderio di rimanere nell’altro, in tutto ciò che l’altro è ed ha, nella sua mente e nel suo cuore, nella sua amina e nel suo corpo. Abitazione dell’amante è la vita dell’amato, non esiste fibra del suo essere che egli non desideri possedere, ma non in quella appropriazione gelosa che impedisce all’altro di vivere, ma come linfa del suo essere. Gesù – e di rimando ogni sposo/a – vuole essere il sangue nelle vene dell’altro, l’alito della sua vita, la forza delle sue braccia, la luce dei suoi occhi, la voce delle sue parole. L’amore serve l’altro e nell’altro scompare come il lievito nella massa, il sale nella terra perché all’amore non importa l’apparire – l’amore che vuol farsi vedere è finzione, illusione, bugia! – quanto rimanere all’ombra dell’altro. Questo desidera Cristo per noi. Egli sa che solo il suo sangue, scorrendo nelle nostre vene, ci fa vivere di Dio, solo nutrendoci della sua vita, lo Spirito Santo ci rende sorgenti che zampillano in eterno.

Ma non finisce qui perché l’amore porta alla conformazione o, come dice Angela da Foligno, alla somiglianza. Sì, l’amore conduce all’assimilazione. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me (Gv 6,57). È questo il nuovo Sinai di cui quello antico era solo figura. Leggendo le Tavole della nuova Legge, scritte dallo Spirito sul Cuore di Cristo, già nel seno immacolato di Maria, noi penetriamo nell’intimo del sacrario di Dio stesso, nel Roveto ardente che è l’essenza del suo infinito ed eterno amore. Il Padre ha la vita da sempre e per sempre ed il Figlio, proprio perché Figlio, riceve da Lui la vita come dono e vive grazie al dono, eterno ed infinito, che il Padre fa di se stesso. Il Vervo vive per il Padre, grazie al Lui, in Lui e non esiste né potrebbe esistere una vita diversa grazie alla quale vivere. Il Padre è l’unica sorgente della vita nell’amore per il Figlio ed il Verbo non solo non potrebbe averne una diversa, ma neppure la desidera, anche nella sua umanità, perché Gesù può dire fuori di te nulla bramo sulla terra (Sal 72,25). Tale relazione modella quella che Gesù vive con i discepoli suoi perché chi mangia di Lui, vive di Lui e per Lui e deve riproporre sulla terra quella profondità di relazione amorosa che il Verbo vive con il Padre. Questo è vero, oltre che a livello personale, anche per le nostre famiglie. Nutriti di Gesù, Pane di vita, gli sposi orientano a Cristo la propria vita e vivono di Lui, facendo spazio in loro e tra loro alla vita del Signore risorto. Insieme fanno del loro corpo un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (cf. Rm 12,1) e testimoniano nel mondo la bellezza della loro apparenza a Cristo Signore.  E come l’amore del Padre assimila il Figlio a sé, non omologandolo a Lui, ma nutrendo la sua identità complementare alla sua (padre/figlio), così la vita di Cristo che gli sposi accolgono nell’Eucaristia, li assimila ai sentimenti di Gesù, a manifestare nelle scelte, la vita divina che vive dentro di loro. C’è quindi una connaturalità del dono di se stessi: se abbiamo in noi la vita di Gesù, essa plasmerà ogni nostra parola e gesto.   

Ogni domenica, accostandoci all’Eucaristia, l’Amen che diciamo al sacerdote quando ci mostra il Pane vivo disceso dal cielo, diventi la risposta del nostro desiderio di vivere di Dio e di far vivere Gesù, il suo amore in noi e tra noi, sempre.




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