XVII DOM. T. O. – B
Famiglia: spazio della Provvidenza di Dio
di Fra Vincenzo Ippolito
Alla mensa dell’Eucaristia le nostre famiglie devono apprendere la carità operosa, l’ansia di avere a cuore i bisogni dei fratelli, la preoccupazione per quanti vivono privi del necessario. Come essere cristiani sapendo che chi mi è accanto è senza il pane? Come possiamo dirci famiglia che segue Cristo se chi bussa non è accolto come fratello, allungando la nostra tavola quale segno eloquente che il nostro cuore si allarga a secondo dei bisogni dell’altro?
Vangelo (Gv 6, 1-15)
In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.
Commento
Interrompiamo per alcune domeniche la lettura del Vangelo secondo Marco per seguire i medesimi eventi di tradizione sinottica – ovvero presentati da Marco, Luca e Matteo – narrati dalla penna dell’evangelista Giovanni. Così facendo, da oggi (XVII Domenica) fino al 23 agosto (XXI Domenica), la Liturgia ci proporrà l’intero capito sesto del quarto Vangelo, la grande catechesi di Gesù sul Pane di vita.
Cercare e seguire il Signore
Il brano evangelico odierno ci presenta, sullo sfondo della Pasqua, Gesù che, con i suoi discepoli, passa dall’altra parte del mare di Galilea. Lo stacco dal precedente capitolo è rilevante: da Gerusalemme si passa a Tiberiade, dopo la guarigione dello storpio (cf. Gv 5,1-9) e la disputa seguita con i Giudei (cf. Gv 5,10-47). Molta gente segue il Maestro, ma, a differenza dei discepoli, chiamati ad intraprendere un cammino di sequela e di conversione, quanti vanno dietro a Gesù sembra lo facciano per interesse, Giovanni lo sottolinea appuntando “lo seguiva molta gente, perché vedeva i segni che faceva sui malati” (v. 2). Tanti seguono il Signore, ma con interessi diversi e questo, a ben vedere, anche tra la cerchia dei Dodici (si pensi a Giuda!). I miracoli attirano la gente, le guarigioni incantano le folle, i segni richiamano, come una calamita, tante persone. Lo stesso Gesù lo dirà successivamente: “voi mi seguite perché avete mangiato dei pani e vi siete saziati”.
Sembra strana, ma si può seguire Gesù anche senza credere in Lui, non ascoltando la sua Parola, mangiando il suo Corpo senza donare il cuore perché lo Spirito lo abiti e lo plasmi ad immagine di quello del Signore. Ed io – è bene chiederselo sempre – perché seguo Gesù? Perché la mia famiglia vuole Gesù? Perché è così importante per noi – lo è veramente? – essere e dirsi cristiani? Come seguo il Signore, come le folle che cercano i miracoli o come Maria di Betania che, seduta ai piedi del Maestro, ascolta la sua Parola per fare di Lui il motore di tutta la sua vita? E, soprattutto, vogliamo Gesù o le cose di Gesù? Cerchiamo Lui o la sua guarigione, il suo essere segno di salvezza o i segni che Lui dona alle folle? Siamo attratti da Dio o dalle cose di Dio?
Tanti seguono il Nazareno, ma in realtà stanno andando dietro a quello che pensano che il Maestro sia e possa compiere per loro, seguono le proiezioni e i desideri del proprio cuore malato di egoismo, non Gesù Cristo, il Figlio unigenito del Padre che per la nostra salvezza – quella vera che spesso non vogliamo neppure vedere e capire! – si è fatto figlio dell’uomo, nel grembo della Vergine. Gesù ha una sua identità ed una missione propria che non sono io a dargli. C’è una dimensione oggettiva della sua Persona che io devo unicamente accogliere. È questo è vero sia a livello personale, come anche di coppia e di famiglia. Gesù deve essere accolto ed amato, ascoltato e seguito non “secondo me o secondo noi”, ma come Lui vuole essere amato ed accolto. Noi siamo chiamati a realizzare la volontà del Padre dietro Lui, non a piegare il disegno di salvezza alla misura bassa e limitata della nostra mente.
Lo sguardo di Cristo sulle folle
Ciò che colpisce nel brano odierno è lo sguardo di Gesù. Marco utilizza il termine compassione per indicare l’occhio vigile del Maestro (cf. Mc 6,34), mentre Giovanni descrive la capacità del Signore, frutto del suo amore grande, di entrare nella vita delle folle, senza parlare. C’è una sensibilità che solo Maria, la Madre di Gesù, dimostra a Cana (cf. Gv 2) e che qui ritorna nell’atteggiamento del Figlio suo: entrare nella vita degli altri comprendendone il bisogno, non da padroni che signoreggiano e comandano, ma da servi che sono pronti a darsi da fare perché regni l’armonia e la gioia. Questo fa l’amore di Cristo con noi! Non mortifica, ma accoglie, mai violenta, ma risana, non giudica, ma ricopre tutto di misericordia. Amare significa proprio questo: dar voce al cuore dell’amato senza fargli vivere lo scandalo o anche la vergogna di farsi vedere bisognoso. L’amore previene nel silenzio, legge negli sguardi, comprende le situazioni, accompagna con la compassione, risolve senza strepiti, scompare nel nascondimento. I discepoli hanno occhi e non guardano, hanno orecchi e non odono, sono incapaci di farsi prossimi, di entrare con delicatezza nel dramma dei fratelli, mettendosi al proprio servizio.
Nelle nostre famiglie è questo l’atteggiamento da attuare, è necessario evitare le eccessive parole e pregare perché l’altro sia capito anche solo con uno sguardo. Se non si innesca questa dinamica, del prevenire e dell’accompagnare, l’amore non è maturo perche, ripiegato su di sé, cerca il proprio tornaconto, mai il bene dell’altro. Lo stesso deve verificarsi con i figli. Come Gesù spinge i discepoli a porsi il problema degli altri, anche tra marito e moglie è necessario aiutarsi nell’aprire gli occhi su situazioni che uno dei due non riesce a vedere o per miopia o per cattiva volontà. Tra gli sposi deve attuarsi questa dinamica di mutuo aiuto, ma la donna, la moglie, la madre deve, come Maria a Cana, – la sensibilità è donna e solo a lei il Creatore ha concesso il genio, definito per questo tutto femminile – di spingere il suo sposo ad intervenire con determinazione, a prendersi a cuore con responsabilità ed impegno maggiore la vita dei figli, mai nascondendo la testa sotto la sabbia per non vedere, come fa lo struzzo. La neutralità va bandita in famiglia quando è segno di equilibrismo e di incapacità a prendere le proprie responsabilità.
Nel crogiolo della prova
Spesso si considera Pilato un ignavo, perché, lavandosi le mani nel processo intentato contro Gesù, ha avallato la sua condanna. A bene vedere però, spesso nei Vangeli, i discepoli non sono da meno. Anche qui, presso il mare di Tiberiade, si fanno tanti problemi e Filippo tra tutti manifesta l’impossibilità a sfamare tanta gente. Non si rende conto che ha davanti Gesù, il Figlio di Dio! Quante volte i nostri discorsi sono troppo umani che non si sollevano minimamente da terra! Leggiamo gli eventi della nostra vita con una mentalità troppo umana – spesso anche solo umana – e non permettiamo al Signore di operare in noi meraviglie. Filippo, invece di entrare con entusiasmo nel desiderio di Cristo e condividere il suo sguardo di amore, pone degli ostacoli, mette dei paletti, traduce in fredde cifre la volontà del Maestro. Egli dimentica cha a Gesù nulla è impossibile e – ahimè! – questo capita anche noi, quando scordiamo che nelle nostre famiglie c’è Gesù, il Signore e il Redentore, l’Amico ed il Compagno di viaggio. Quante volte in una coppia, quando uno manifesta una cosa, l’altro risponde con freddezza? Dinanzi a dei cambiamenti o dei passi da fare, a strade nuove da imboccare o a semplici sogni e desideri condivisi ci si scontra con l’incapacità dell’altro di aprire il cuore e la mente ad una proposta che nasce dal desiderio di crescere insieme? E questo nelle piccole e grandi cose, spesso persino tinteggiare casa oppure un’uscita fuori porta è una proposta non accolta che cozza contro la pigrizia e l’incapacità di smuoversi per rinnovare l’amore. Non di rado, avviene così che non si condivide più nulla perché, divorati dalla paura di non essere capiti, si preferisce stare in silenzio e glissare su tante cose, invece di essere derisi. Tra gli sposi, invece, l’impossibile dovrebbe essere pensato e scambiato come sogno e desiderio da attuare insieme perché se l’amore tra un uomo e una donna, corroborato dalla Grazia divina, non spinge a rendere possibile l’impossibile, il bene che si desidera, i sogni che uno tiene da anni nel cassetto, si può veramente parlare di amore?
Come nel caso di Gesù e Filippo, ci sono prove a cui l’amore ci sottopone in famiglia e noi non sempre riusciamo a viverle come tali, vincendo le paure che ogni prova porta con sé. È necessario mai tagliare le gambe ai sogni dell’altro e soprattutto dei figli perché tra le mura domestiche i desiderio, vagliati attraverso il fuoco della preghiera e del discernimento fatto insieme, con la Luce di Dio, vanno sostenuti e devono motivare l’impegno di tutti. È diseducativo mortificare un figlio quando, dinanzi ad una sua richiesta, un sogno importante o un progetto di vita, si pongono dei rifiuti perché indirettamente gli si sta dicendo “Non sei in grado di fare quello che dici e noi non possiamo o vogliamo assecondare questo tuo disegno di vita!”. Se non sono i genitori a spingere un figlio a puntare in altro, chi dovrà farlo? Ecco allora le insicurezze e le frustrazioni dove nascono in famiglia: dall’incapacità di sognare con Dio e di impegnarsi perché il futuro sia bello e, attraverso l’impegno, ci porti a salti di qualità per una vita migliore.
Gesù mette alla prova Filippo perché vuole liberarlo dalla dinamica del calcolo e dalla quantittazione dell’amore. Le persone – sembra dire Gesù – non possono ridursi a merce di scambio, a numeri, a soldi che, alla fine, non può essere reperito e quindi blocca ogni cosa. Il bene che Gesù chiede, la carità che Cristo propone non ha bisogno di banche o di fondi, ma di persone che credono nella potenza del suo Amore, nella rettitudine della sua proposta, nell’onnipotenza della sua Parola. Dio chiede l’impossibile perché Egli può attuarlo, ma non vuol farlo da solo – che tristezza fare le cose da soli! – desidera condividere con l’uomo la sua gioia di preoccuparsi degli altri, alleviando le loro difficoltà. Con Dio tutto è possibile perché Egli è Provvidenza! Nelle nostre famiglie e comunità si è perso forse questo attributo divino che dobbiamo recuperare per vivere secondo Dio nel suo progetto di amore. Dio non delude mai, ci invita a pensare alla grande, sognare alla grande, a credere che Lui è grande in noi e può riuscire a fare cose belle ed importanti quando non sono per noi, ma unicamente per il suo Regno.
Tutto nelle mani sue
La regola che scandisce la relazione con Dio è l’umiltà, l’abbandono in Lui, la capacità di porre la sua volontà come sovrana nella propria vita. Chi risolve lo stallo della poca fede dei discepoli è un bambino dal momento che “a chi è come loro appartiene il Regno dei cieli”. Anche Andrea che presenta quel ragazzo con cinque pani di orzo e due pesci si chiede: “ma che cosa è questo per tanta gente?” (v. 9), dimostrando di condividere la stessa taratura mentale di Filippo. Spesso i sogni si bloccano in una famiglia e comunità quando ci sono persone che, grette mentalmente e di poca fede, non riescono a guardare oltre il proprio naso e si macerano continuamente in quel come faremo?, incapaci di mettere come comune denominatore della propria vita Dio ed il suo amore, la sua onnipotenza e la sua vicinanza.
Gesù ha bisogno di discepoli che mettano nella sue mani il proprio nulla. È lui la sorgente della ricchezza, cosa possiamo dargli? Sua è la terra e quanto contiene è Lui, infatti, che apre la mano e sazia la fame di ogni vivente. Ma per far questo il Signore desidera il nostro abbandono, richiede la fede della mia famiglia, domanda che noi fissiamo in Lui i nostri pochi o tanti talenti perché nessun banchiere riesce, come Lui, a mettere a frutto la nostra povertà. Nelle mani di Gesù tutto si moltiplica, tutto si rinnova. È questa una legge fondamentale che gli sposi cristiani si sono impegnati a vivere dinanzi all’altare, il giorno delle loro nozze. Essi, infatti, hanno chiesto al Signore di potenziare la loro capacità di amare e di rendere i loro cuori fedeli nel dono, perseveranti nell’offerta. L’uomo deve stare fermo, seduto perché, come il popolo all’uscita dall’Egitto, deve vedere che chi libera è il Signore, è Lui che opera meraviglie per i suoi figli, Lui solo trasforma in abbondanza la nostra indigenza. È sempre Gesù poi a distribuire il pane ed il pesce perché nulla manchi sulla mensa dei suoi figli. Il Maestro non demanda ad altri, ma Lui stesso si mette a servire, a sfamare, a donarsi in quel pane.
Nelle nostre famiglie è necessario affidarsi a Dio sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, lasciando che sia Gesù a trasformare la nostra vita. Il Maestro insegna a metterci in prima persona al servizio delle persone che si amano, a non disdegnare i lavori umili, a saper farsi tutto a tutti perché l’amore di Dio che fa abbondare il bene nella nostra vita traspaia nei nostri gesti. È necessario entrare nella gratuità del dono di Dio perché quello che ci elargisce non si merita, ma è segno della sua grazia e del suo amore.
Famiglie solidali nel vivere la carità
Il gesto ultimo di raccogliere i pezzi avanzati non è di Gesù, ma dei discepoli e serve loro per toccare con mano la potenza dell’amore di Dio, la capacità sua di trasformare in abbondanza incalcolabile – altro che trecento denari di pane, avrà pensato Filippo! – la pochezza ed il limite del’uomo. Sul campo essi devono imparare a fidarsi della Parola di Gesù, mettendo la propria vita al servizio del Regno. Alla mensa dell’Eucaristia le nostre famiglie devono apprendere la carità operosa, l’ansia di avere a cuore i bisogni dei fratelli, la preoccupazione per quanti vivono privi del necessario. Le nostre comunità cristiane devono essere dei centri permanenti di accoglienza e le nostre case e comunità religiose oasi di solidarietà per quanti vivono momenti di difficoltà o sono incapaci di sbarcare decentemente il lunario. Come essere cristiani sapendo che chi mi è accanto è senza il pane? Come possiamo dirci famiglia che segue Cristo se chi bussa non è accolto come fratello, allungando la nostra tavola quale segno eloquente che il nostro cuore si allarga a secondo dei bisogni dell’altro?
Siamo responsabili di chi ci sta accanto e tante famiglia potrebbero aprirsi all’accoglienza e all’affido se solo lo sguardo di Gesù consumasse il nostro cuore, comunicandoci la sua compassione. La partecipazione all’Eucaristia domenicale è vera solo se fa nascere la carità verso il prossimo. Allora chiediamoci: cosa e come la mia famiglia può fare perché Gesù in mezzo a noi ci renda pronti alla solidarietà verso i fratelli? Non mettiamo subito limiti come Filippo, né presentiamo impossibilità come Andrea, ma lasciamoci portare da Dio, Lui fa meraviglie quando trova dei discepoli che, come de fanciulli, gli permettono di agire con la sua onnipotenza d’amore.
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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