Spiritualità familiare

Pregare con i figli: da dove partire?

pregare con i figli

di Giovanna Pauciulo

Un figlio, a prescindere dall’età, non può essere attratto da Dio se i suoi genitori non gli consentono di fare esperienza del Signore e della sua compagnia. È la preghiera il luogo in cui si impara a dialogare con Dio: insegniamo ai nostri figli a riconoscere l’Interlocutore, a reputarlo prezioso tanto da desiderare di stare con Lui.

Quando i figli sono piccoli e vengono con noi a Messa, a volte capita che incuriositi da questo o quel gesto liturgico chiedano spiegazioni. Magari, se vi è l’abitudine in famiglia di recitare una preghiera, i figli possono facilmente impararla e cominciare a ripeterla. Nell’età più adulta quando un figlio vede il padre o la madre custodire la fede di fronte ad eventi difficili, come la morte di un coniuge oppure una malattia, può capitare che chieda al proprio genitore come faccia a custodire la pace. In queste occasioni potrebbe nascere la richiesta di aiutarlo a credere e sperare in Gesù Cristo.

Ciò che appare subito chiaro è che il figlio, a prescindere dalla sua età, non può essere attratto da Dio e cercare un dialogo con Lui se non gli si consente di fare esperienza di Dio. In questo contesto, la preghiera è anzitutto dialogo con Dio. È riconoscere il nostro interlocutore. È reputare prezioso il nostro interlocutore tanto da desiderare di stare con Lui. Vale perciò nell’educazione alla preghiera la regola d’oro della testimonianza ma anzitutto del far fare esperienza. San Giovanni Bosco diceva: «Bisogna che i figli non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati». Dunque, potremmo dire che non basta per un figlio vedere i genitori pregare. È necessario che i genitori creino le condizioni interiori ed esteriori per far pregare i figli. E allora quando un genitore educa alla preghiera?

L’infanzia il momento più importante in cui educare il bambino alla preghiera, perché è il tempo in cui i bimbi si fidano e si affidano. La preghiera è proprio questo, esperienza di abbandono fiducioso.

Nell’adolescenza il bisogno di dare una configurazione alla propria personalità, il desiderio di autonomia e di definizione di sé permette di scoprire in Dio Colui che più dei miei genitori può raccontarmi chi sono. La preghiera diventa così per l’adolescente il canale per ascoltare qualcuno che mi racconta di me, che mi ha pensato, voluto e perciò può conoscermi. Infine, nella giovinezza la realizzazione di sé permette di scoprire la preghiera come lo spazio per sfuggire al narcisismo e all’egoismo, per imparare ad amare sé e gli altri, scoprendo nell’amore donato la massima realizzazione di sé e perciò la felicità.

Ecco cari genitori la nostra responsabilità: il compito di introdurre i nostri figli alla preghiera.

Quando pregare

Nel contesto attuale in cui viviamo, proporre alle famiglie di fermarsi per pregare è davvero difficile. Con tutte le cose che ci sono da fare, da sistemare, da organizzare. Eppure se Gesù ci invita alla preghiera, a chi si rivolge? Ai preti e alle suore? Il suo è solo un modo di dire? Evidentemente, la preghiera è per tutti ed a tutti è rivolta l’esortazione a non distrarsi, a non vivere la vita come se non ci fosse una regia o una destinazione precisa. Quando pregare? La risposta è semplice: sempre. Ma come si fa con tutte le cose da fare? Qualcuno potrebbe obiettare “Non viviamo in monastero!”. La famiglia è immersa nel mondo, che ha i suoi tempi e le sue scadenze. Però, pregando non si è fuori dal mondo, si è nel mondo con la propria identità di figli di Dio, riconoscendo che tutto si muove ed esiste in Dio: la nostra stessa vita, i nostri affari, le nostre responsabilità affettive e lavorative. È chiaro che per pregare occorre imparare ad organizzare il proprio tempo e liberarsi di tante cose inutili: chiacchiere, letture superflue, televisione, telefonate interminabili, curiosità e stupidità.

La preghiera è il tempo di Dio  

Credo che se facessimo un’indagine tra gli adulti, tra i genitori, e chiedessimo “Tu preghi?”, la risposta più gettonata sarebbe “Non ho tempo” seguita da “Sì, in caso di necessità”. Sono tutte risposte vere, ma che rivelano un approccio errato alla preghiera.

Il salmista dice: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode. Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore: il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno”. In questi versetti possiamo cogliere la certezza che il nostro agire ha valore se inserito nell’agire di Dio, altrimenti il nostro agitarci non aggiunge un giorno alla nostra vita. Il nostro Dio è il Signore del tempo, apparentemente può sembrare che la sosta della preghiera sia un dare tempo a Dio, in realtà, in quel tempo, siamo noi ad essere rigenerati da Dio.

Nella mitologia greca il tempo è un dio (Kronos) rappresentato come un gigante mostruoso, colto nell’atto di mangiare i suoi figli, poiché gli era stato predetto che sarebbe stato spodestato da uno di loro. E l’immagine di Kronos è archetipica, inscritta nella coscienza umana. Quel mostro abita il cuore dell’uomo, da sempre. Kronos è un dio che divora ciò che genera. Stritola ogni cosa. Incute paura, angoscia. È un tiranno che non vuole condividere con nessuno il proprio potere. È come un predatore in cerca di una vittima che, una volta identificata, non può sfuggire. Incapace di condividere, riconduce tutto a se stesso, per soffocarlo e annientarlo. Il tempo è nemico. È questa una visione del tempo tipicamente umana.

Tuttavia, noi cristiani interpretiamo diversamente il tempo. Con un altro termine – Kairos – i greci indicavano il tempo di Dio, il momento giusto, propizio, che ci fa interpretare in modo diverso l’esperienza di Kronos. Nel momento in cui abbiamo ricevuto il battesimo, che è per ogni cristiano il passaggio alla vita di grazia, il cristiano diventa “Colui che non ha paura della morte”, perché la propria morte non sta più davanti a sé, ma dietro di sé, nel proprio battesimo. Davanti a sé il cristiano battezzato sa che c’è la vita, rivolta verso la casa del Padre. Il tempo che segue il battesimo è dunque quello della gioia, in quanto la “vera” morte è già avvenuta. La fiducia nella buona morte apre all’epifania della vita, all’incontro faccia a faccia con Dio. È la fiducia che la vita assume pienezza di senso, nella gioia di questo incontro definitivo. Quindi, il tempo che ci è dato di vivere non distrugge ogni cosa, quanto piuttosto ci prende per mano. L’uomo è incamminato verso l’origine stessa della vita, verso un Dio pronto ad abbracciarci. Il tempo si fa amico.

Ecco allora che la preghiera non ci sottrae tempo, dà ordine e sostanza alle cose del mondo, alla nostra vita mondana. Se non ci fosse la preghiera, che ci consente di custodire il legame con Dio e di camminare verso di Lui, noi saremmo schiacciati dalla nostra finitudine e dalla nostra miseria. La preghiera ogni volta ci  permette di alzare lo sguardo a Dio e dunque ci ridona la vita per viverla. Senza la preghiera il nostro tempo si svuota di significato, la preghiera nutre il nostro tempo dandogli un orientamento e un significato: Dio. Riesce a dare tempo alla preghiera chi vive nel tempo di Dio.




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2 risposte su “Pregare con i figli: da dove partire?”

Cara Giovanna, come sempre leggo con molto piacere le cose che scrivi e seguo con interesse la tua rubrica essere genitori.Ho insegnato ai miei figli l’affido continuo a Dio e al proprio Angelo Custode. Ho scelto per loro nella primissima infanzia la scuola cattolica. Dall’età di 3 anni fino a 10 anni hanno frequentato l’ Istituto di Don Alfonso Maria Fusco presso le Suore di San Giovanni Battista di Angri. Ancora oggi che sono adulti li invito ad affidarsi al caro Beato Alfonso Maria Fusco che gli ha visti crescere nella sua casa.
Concordo pienamente bisogna educare ma anche rieducare alla preghiera. Rieducare alla preghiera soprattutto gli adulti.Molto bella la tua descrizione del tempo sia come Kronos che come Kairos.
Il tempo è stato dato a ciascuno di noi per diventare più uomo. Nel tempo l’uomo può perdere la sua libertà o guadagnarla. Diventare più uomini significa crescere umanamente e spiritualmente. Quando e come pregare? Semplicemente in ogni momento della nostra giornata offrendo a Dio parole, pensieri, gioie, dolori, attese, speranze e sacrifici. Mi piace riproporre una frase semplice che ha caratterizzato la mia crescita e che oggi è parte integrante del mio vivere quotidiano: “quello che vuole Dio”. La nostra esistenza è un ringraziamento continuo, un affido concreto verso il Creatore. Una lotta per perseverare nel bene e prefissarci di riuscire. Qualsiasi sia la nostra situazione di vita o le difficoltà che ci troviamo a vivere, affidarle a Dio. Essere attenti alla “operosità della carità” perchè pregare significa anche comprendere che tutto ciò che Dio ha creato, lo conserva e lo dirige con la sua provvidenza senza lasciarsi sedurre dalla tentazione.Nel contesto culturale è diffusa l’idea che l’uomo possa pienamente ritrovare se stesso rinnegando Dio, cancellando la preghiera dalla sua vita, rimanendo soltanto lavoratore, illudendosi che i soli suoi prodotti possano riempire i bisogni del cuore umano. La preghiera del Signore contiene anche l’invocazione per il pane. Ciò nonostante non di solo pane vive l’uomo. La preghiera deve abbracciare tutto ciò che fa parte della nostra vita e come tu ben dici deve nutrire il nostro tempo.

Al desiderio di pregare insieme si arriva un poco alla volta. Nel cuore dell’uomo risiede Dio e dal cuore nasce la preghiera. Se seminiamo secondo il volere di Dio in qualsiasi ambiente ci troviamo ad operare poi raccogliamo: con mia sorpresa, i miei ragazzi a scuola ogni volta alla fine della lezione mi hanno chiesto spontaneamente di pregare e ognuno esprimeva un’intenzione dal cuore.
Il problema è che non è il tempo che manca e che molti vogliono “sfuggire a se stessi”, non vogliono riflettere verso tutto ciò che viene dallo Spirito, per “discernere” correttamente e impiegare bene quei carismi che portano la creatura all’ unione con il Creatore. Ben comprese questa grande verità Sant’ Agostino quando affermò: “Prega come se tutto dipendesse da Dio. Lavora come se tutto dipendesse da te”.

Grazie Giovanna per aver toccato quest’argomento! Infatti è proprio questo il periodo in cui mi faccio mille domande su come iniziare mio figlio alla preghiera. Adesso ha due anni e mezzo e ancora non parla fluidamente, usando monosillabi e suoni onomatopeici, ma a modo suo si esprime e ripete quello che noi adulti diciamo. Lui è un uragano, non sta fermo un attimo, ma alla sera, dopo il bagnetto e il pigiamino, abbiamo un attimo di tregua ed è in quel momento che “preghiamo” insieme. Forse è ancora troppo piccolo, infatti la sua attenzione dura il tempo di girare lo sguardo altrove, ma spero che se, come un’abitudine, vede me fare le preghiere, lui un po’ alla volta si abitui come se fosse una routine quotidiana. Poi, ovviamente, mano mano che crescerà e capirà, alla abitudine del fare le preghiere assocerò il valore della preghiera stessa. Spero che quella che sto seguendo sia una buona strada, ma sarebbe bello che chi ha esperienza di madre, come te, dia sempre consigli a noi giovani mamme, che abbiamo spesso nel cuore l’ansia di non essere all’altezza.

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