“Figlio, ti stringo e sei mio. Mistero di vita che nasce, profezia di un tramonto annunciato. Atroce è il silenzio all’ombra di quell’ultimo raggio di giorno, di quegli occhi che dormono e, ad ogni respiro, mi rimbalzano dentro. Tu nasci e io muoio ogni giorno lentamente, perché non sono più di me stesso; perché mi appartieni, ma ti ho già perso.
Avvolto nell’ombra di un mistero carico di luci e paure, sei gioia, sei dolore, sei speranza e sei futuro. Sei bellezza di trame nascoste, di capelli spettinati come onde in un mare di lacrime e sorrisi. Sei l’odore acre della vita che si nutre e il soave profumo di innocente candore. Sei tutto. Sei me che vivo in te. Sono io che vivo per te”.
Tempo fa per una rubrica sul nostro magazine, chiesi ad alcuni uomini, tra sposi e sacerdoti, di raccontarmi la loro esperienza di paternità. A parlare oggi è don Gianluca Coppola, oggi parroco nella chiesa di Santa Maria di Montesanto a Napoli. Credo che la sua riflessione contenga dei punti interessanti. A volte ho l’impressione che i giovani sacerdoti vivano come dei single, si sentono di appartenere alla categoria dei giovani. Se questo vale per età anagrafica, non è altrettanto valido per vocazione. Il sacerdote è sposo e padre e queste due dimensioni devono essere, come nella vita familiare, custodite, nutrite e vissute nel grande orizzonte della vocazione alla santità.
“Non voglio scandalizzare nessuno, ma anche noi sacerdoti abbiamo un grande desiderio di paternità. Una paternità che è profezia. Una paternità che nasce dalle viscere, dal cuore. La paternità sacerdotale, probabilmente, è ciò che più si avvicina alla paternità di San Giuseppe verso il figlio Gesù, perché è un figlio affidatogli da Dio. Così, ogni sacerdote ha nel cuore figli affidatigli da Dio.
Dobbiamo poter liberare questa paternità: non nell’esercizio biologico o genitale della generazione di un figlio, ma liberarla nell’amore spontaneo e gratuito verso ogni uomo. È nell’umanità che si consuma la nostra fede. San Paolo non dice “offrite le vostre anime”, ma dice “offrite i vostri corpi come sacrificio vivente, spirituale, gradito a Dio”.
C’è una paternità da vivere, una paternità da realizzare, una paternità che vuole esplodere, che vuole venire fuori nella libertà dei figli di Dio. Io sento profondamente che questa paternità si realizza nella mia vita sacerdotale. Ho tanti figli e amo farmi chiamare da loro padre. Sebbene nel Meridione sia usuale che i sacerdoti diocesani si facciano chiamare “padre” e non “don”, per me questa parola ha un significato ancora più profondo. Amo essere chiamato padre, perché è un modo di esercitare quella paternità che non è possesso ma offerta: come Gesù, come Giuseppe di Nazareth, per fare il bene dell’altro, perché ciascuno si senta figlio.
Credo sia naturale, anche per noi sacerdoti, il sogno di un figlio proprio, credo di non dire nulla di nuovo. È un’esigenza dell’uomo, ma la mia è una rinuncia fatta nella grazia di Dio, per aprirmi a una paternità più grande e più ampia. È come sentire nel cuore di avere così tanto amore da non poterlo limitare a un contenitore solo. Il rapporto che vivo con i miei figli adottivi è un rapporto speciale, non fatto di sentimentalismi, ma di certezze: io ci sono per te e so che tu hai bisogno di me e ci sarai per me”. Non è difficile diventare padre. Essere un padre, questo è difficile.
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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