DILEXIT NOS

Dilexit Nos: un cuore ha salvato il mondo. Papa invita a “rientrare nel nostro cuore”

Foto: Pixabay

di Assunta Scialdone e Piero Del Bene

In vista di questo articolo, abbiamo chiesto all’intelligenza artificiale di “creare un’immagine per rappresentare la lettera enciclica Dilexit nos di Papa Francesco”. Ci ha sorpreso – ma solo fino ad un certo punto – la risposta: “Non sono riuscito a generare l’immagine richiesta perché il contenuto rientra in ambiti non supportati dalle nostre politiche sui contenuti. Se hai altre idee o vuoi un’immagine più generica su temi come l’amore universale, la fratellanza o l’armonia con la creazione, sarò felice di aiutarti!”.

C’è molta ironia nella considerazione che, non aiutandoci, con la motivazione che ci ha fornito, ci ha aiutato non poco ad inquadrare la quarta lettera enciclica pubblicata da Papa Francesco lo scorso 24 ottobre in occasione dei 350 anni delle apparizioni del Sacro Cuore a Santa Margherita Maria Alacoque: la Dilexit nos, appunto. 

Come ha notato qualcuno, infatti, un santo padre che affronta “un tema mistico e “tradizionale” come il Sacro Cuore sorprenderà chi (progressisti o tradizionalisti, antipapisti o complottisti) ha interpretato l’attuale Pontefice in chiave politico-ideologica. Ed in effetti, la lettera ci restituisce un Francesco diverso da come è stato dipinto per anni sui media. Una diversità che si declina per contenuti, per ispirazione, ma anche per forma e prosa.

Partendo dalla domanda se abbia ancora senso parlare di “cuore” che molti si pongono anche all’interno della Chiesa, il santo Padre ci offre uno spaccato di mondo su cui riflettere e col quale sarà difficile dissentire. 

Qui e lì, tra le righe, si leggono riferimenti negativi alla nostra società, come quando, ad esempio, fin dalle prime parole, dichiara a chi non si rivolge: coloro che sono “tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza”. Costoro non leggano la lettera del Pontefice. Agli altri Francesco ricorda che il cuore rappresenta “un nucleo che sta dietro ogni apparenza, anche dietro i pensieri superficiali che ci confondono”, “il luogo della sincerità, dove non si può ingannare né dissimulare… le vere intenzioni, ciò che si pensa, si crede e si vuole realmente, i “segreti” che non si dicono a nessuno, insomma la propria nuda verità”. 

L’obiettivo sono coloro per i quali “la cosa migliore è lasciar emergere domande che contano: chi sono veramente, che cosa cerco, che senso voglio che abbiano la mia vita, le mie scelte o le mie azioni, perché e per quale scopo sono in questo mondo, come valuterò la mia esistenza quando arriverà alla fine, che significato vorrei che avesse tutto ciò che vivo, chi voglio essere davanti agli altri, chi sono davanti a Dio”. 

Si rivolge a pochi, dunque? Al contrario. Si rivolge a tutti, perché “ci muoviamo in una società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede”. 

In una società in cui “manca il cuore”, appunto, ma quale cuore? Francesco così risponde: “È una di quelle parole originarie «che indicano la realtà che spetta all’uomo tutt’intero in quanto persona corporea e spirituale»”. Un concetto non spiegabile solo da una scienza umana e che ci è proprio più della razionalità. Quest’ultima, infatti, come dimostra l’intelligenza artificiale, in fondo ci appiattisce. “Non così il cuore”. 

Leggi anche: Dilexit nos, la riforma del cuore – Punto Famiglia

Per meglio aiutare la comprensione di questo concetto, l’autore ricorre ad un dettaglio che voleva essere l’inizio di questo articolo prima della risposta dell’intelligenza artificiale. La forchetta che chiude i panzerotti fatti a casa della nonna è un tocco, per certi versi, stupefacente. “È quel momento di apprendistato, a metà strada tra il gioco e l’età adulta, in cui si assume la responsabilità del lavoro per aiutare l’altro”.  Dettagli come questo, ma ne vengono citati anche altri, che costituiscono “l’ordinario-straordinario, non potranno mai stare tra gli algoritmi”. Come dargli torto? Al numero 21 troviamo il punto di svolta, il motivo dell’enciclica: “In definitiva, se nel cuore regna l’amore, la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato. Per questo motivo, vedendo come si susseguono nuove guerre, con la complicità, la tolleranza o l’indifferenza di altri Paesi, o con mere lotte di potere intorno a interessi di parte, viene da pensare che la società mondiale stia perdendo il cuore”. 

Sembrerà anche ingenuo ai più, ma la questione di fondo per risolvere i numerosi problemi che ci affliggono è: ho un cuore? Se ogni singolo rientra nel suo cuore si risolvono anche i problemi di politica internazionale. Quanti seguiranno Francesco su questa strada? “Il mondo può cambiare a partire dal cuore”, da un cuore in particolare, dal Cuore di Cristo. 

Ecco, su questa strada, l’intelligenza artificiale proprio non può seguirci: non è stata programmata per farlo, esula dai suoi ambiti, come ci ha scritto. Il problema è che siccome ci stiamo nutrendo di AI, rischiamo di perdere ulteriormente la nostra connotazione umana dotata di cuore. 

Il Papa, tra le righe, lo ribadisce più volte. “Solo a partire dal cuore le nostre comunità riusciranno a unire le diverse intelligenze e volontà e a pacificarle affinché lo Spirito ci guidi come rete di fratelli, perché anche la pacificazione è compito del cuore. Il Cuore di Cristo è estasi, è uscita, è dono, è incontro”. Il suo cuore, quello di Cristo, perché il nostro “non è autosufficiente, è fragile ed è ferito”, “ha una dignità ontologica, ma allo stesso tempo deve cercare una vita più dignitosa”.

Il resto è un’enciclica da leggere e meditare con calma, a piccoli sorsi, come indicato anche dalla brevità dei paragrafi che la costituiscono, magari in gruppo, tra i giovani, a scuola dove possibile, negli oratori, perché come ricorda il testo, “san Giovanni Paolo II ha spiegato che, offrendoci insieme al Cuore di Cristo, «sulle rovine accumulate dall’odio e dalla violenza, potrà essere costruita la civiltà dell’amore tanto desiderato, il regno del cuore di Cristo»; questo implica certamente che siamo in grado di «unire all’amore filiale verso Dio l’amore del prossimo»; ebbene, «questa è la vera riparazione chiesta dal Cuore del Salvatore». Insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore. In mezzo al disastro lasciato dal male, “il Cuore di Cristo ha voluto avere bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza”. 

La via della bellezza e dell’arte, già esplorata ultimamente dal Santo Padre in altri scritti, ritorna qui come espressione della devozione al Cuore di Gesù per ricondurre a Lui gli uomini. Ricordando i moniti di inizio pontificato, qualcuno potrebbe chiedersi: il Papa si rimangia qui il suo anti-proselitismo? Risponde egli stesso: “Parlare di Cristo, con la testimonianza o la parola, in modo tale che gli altri non debbano fare un grande sforzo per amarlo, questo è il desiderio più grande di un missionario dell’anima. Non c’è proselitismo in questa dinamica d’amore: le parole dell’innamorato non disturbano, non impongono, non forzano, solamente portano gli altri a chiedersi come sia possibile un tale amore. Con il massimo rispetto per la libertà e la dignità dell’altro, l’innamorato semplicemente spera che gli sia permesso di raccontare questa amicizia che riempie la sua vita”. Come si concilia quest’enciclica con quelle sociali tanto bistrattate e contestate dai suoi detrattori fino a confonderlo con i propugnatori di temi da massoneria? Lo riferisce egli stesso nelle conclusioni: “Ciò che questo documento esprime ci permette di scoprire che quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune”.




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