Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,1-12a)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Il commento
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (5,3). È una delle pagine più affascinanti del Vangelo, una continua provocazione per la nostra fede. Le beatitudini descrivono nella maniera più nitida il volto di Gesù e indicano con chiarezza i sentieri che i discepoli devono percorrere se vogliono essere un’immagine fedele del loro Maestro. È un testo breve ma particolarmente fecondo perché, nelle intenzioni dell’evangelista, rappresenta una sintesi dell’esperienza di fede. È sufficiente soffermarsi sull’una o l’altra parola. Oggi voglio sottolineare l’espressione “regno dei cieli” che troviamo nella prima e nell’ultima beatitudine, come una chiave che serve ad aprire e a chiudere la casa. La formula evangelica parla di un potere, quello che Dio esercita nella storia degli uomini. Un potere che non ha nulla a che vedere con quello mondano, segnato dal dominio e dalla prepotenza. È il potere di Colui che non è venuto “per essere servito ma per servire e dare la vita” (Mt 20,28). La comunità ecclesiale, la famiglia, ogni realtà umana diventa “regno di Dio”, cioè spazio in cui Dio regna, nella misura in cui ci lasciamo plasmare dall’amore che Gesù ha testimoniato e diventiamo icona di quella salvezza che Dio vuole donare. Non siamo più noi a dettare legge ma è Dio che ispira il nostro modo di pensare e di vivere.
Con un’espressione senza dubbio audace, Gesù annuncia che il Regno dei cieli appartiene fin d’ora a coloro che sono “poveri in spirito” (5,3) e sono “perseguitati per la giustizia” (5,10). È necessario sottolineare che qui – e solo in questi due casi – il verbo è al presente, per indicare una realtà già acquisita; in tutti gli altri casi il verbo è al futuro come annuncio di qualcosa che verrà donato. Se dunque vogliamo che la nostra vita diventi la casa di Dio e manifesti lo stile di Dio, impegniamoci a camminare nella via dell’umiltà e accettiamo con amore di soffrire a causa del Vangelo. Non sarà facile ma gli innumerevoli testimoni della fede, che oggi celebriamo, sono la garanzia che tutto è possibile. Ci affidiamo alla loro intercessione.
Briciole di Vangelo
di don Silvio Longobardi
s.longobardi@puntofamiglia.net
“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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