Solidarietà

Città aperte all’accoglienza

Taranto, Salerno, Roma, Genova e tra tutte Lampedusa. Ma l’elenco delle città italiane che si sono aperte all’accoglienza dello straniero è ben più lungo. Cosa accade quando è il vescovo a lanciare un appello di solidarietà?

Abbiamo imparato a riconoscerli dai telegiornali o dalle immagini che rimbalzano sui social. Tristi, ammucchiati, sporchi e malmessi. Uomini, ragazzini, donne gravide e con piccini al seguito. E subito pensiamo: non siamo messi meglio in Italia. Perché tra i tanti Paesi del Mediterraneo vengono qui? Non può solo essere per una questione di vicinanza geografica.

Inizia ad innescarsi la paura dello straniero. Se poi dovesse esserci chiesto di ospitarli, proprio in casa nostra, ansia e timore prenderebbero il sopravvento.

È quello che è accaduto circa una settimana fa nella provincia Granda. Per l’esattezza la prefettura di Cuneo, in previsione dell’arrivo di 300 nuovi rifugiati richiedenti asilo, ha contattato la diocesi di Mondovì che a sua volta ha diretto la domanda proprio alle famiglie e ai fedeli monregalesi. Le strutture parrocchiali e le case di riposo sono ormai strapiene. Altri immobili diocesani non sono immediatamente agibili perché non attrezzati per questo tipo di emergenza. Allora monsignor Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì, ha lanciato l’appello attraverso le pagine del settimanale diocesano: “Chi può ospitare un profugo, si faccia avanti”.

Una decina di famiglie hanno accolto l’invito a dispetto del dissenso di un’intera comunità. E subito è bufera. Giustificata, se i rifugiati non fossero stati sottoposti alle visite sanitarie più elementari.

Alle tante lettere di disapprovazione giunte proprio al giornale diocesano “L’Unione Monregalese”, il direttore, don Corrado Avagnina, risponde attraverso l’ultimo editoriale: coloro che arrivano hanno «vite disperate alla ricerca di un appiglio, dopo drammi devastanti nei loro Paesi d’origine». In Italia, fa notare il direttore, «questa presenza di rifugiati viene affrontata con una certa fatica, dovendo purtroppo fare i conti con “resistenze” e “diffidenze” marcate, che si esprimono in reazioni di pancia da parte di un’opinione pubblica che sembra bypassare la posta in gioco umanitaria con spunti ideologici o egoistici in grado di squalificare, in modo deludente, un popolo, il nostro, tentato dall’indifferenza. Invece di pensare a come dare una possibile mano nell’accoglienza, ci si schiera subito pregiudizialmente contro, e basta».

Emanuela Pandolfi




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