C’è un cortocircuito nella mente delle persone rispetto al mondo della disabilità. Se sei portatore di una disabilità o di un’anomalia cromosomica ma vivi ancora nel grembo materno per te l’unica soluzione che ti prospettano è l’aborto. La scusa è evitarti una vita infelice. Se sei portatore di una disabilità o di un’anomalia cromosomica ma sei riuscito a venire alla luce e a superare la barriera della nascita, troverai – come giusto che sia – una grande attenzione culturale e normativa nei tuoi riguardi. È una palese contraddizione. E non bisogna scomodare la morale o la religione. È necessario un po’ di buon senso per capire che tutta la narrazione sull’aborto terapeutico si gioca sul campo dell’emotività, terrorizzando le povere mamme e creando l’incubo di una vita abitata solo dal dolore.
È quello che accade durante la gravidanza dove c’è un vero e proprio accanimento diagnostico, io lo definisco. Amniocentesi, tritest, ecografie in quantità enormi… Non è più l’attesa di un evento gioioso, di un figlio ma un vero e proprio tunnel dell’orrore. Una roulette russa. I figli che nascono sono dei sopravvissuti ad una battaglia vitale. Il premio è quello di essere nato sano e senza malattie. Non voglio sminuire la scienza e le tecniche diagnostiche, che aiutano molto nella definizione e nella preparazione delle difficoltà qualora si presentano, ma stiamo dimenticando l’essenziale.
Ogni figlio è un dono immenso. Ogni madre e ogni padre devono garantirgli un solo diritto: quello di essere accolto e amato. Un figlio non è amato perché ha tutti i cromosomi nel numero esatto, gli organi al posto giusto, gli occhi di quel colore o i capelli biondi. Un figlio è amato sempre, è unico, è irripetibile. Nessuno cambierebbe il proprio figlio con quello di un altro. Sano o malato che sia. Ogni figlio ha una bellezza unica. E non è quella che il mondo ci propina o ci fa credere. Non è quella dei titoli di studio, della forma fisica o dei conti in banca. È una bellezza che non elimina il dolore per un figlio malato ma è capace di andare oltre la malattia. Perché un figlio con una disabilità non è la sua disabilità. È oltre. E questo un padre e una madre lo sanno.
I genitori che accolgono i figli malati non sono eroi e non vogliono essere definiti tali. Non sono santi, non sono speciali. Sono semplicemente genitori. E i genitori cosa fanno? Si prendono cura dei figli, li amano e quando non sono in grado di farlo, li fanno nascere e li affidano a mamme e papà per vocazione. E questi ultimi li ringraziano ogni giorno nel proprio cuore per aver permesso a quel bambino o a quella bambina di venire al mondo. Questa è la forza dell’amore e non di quel puro sentimentalismo che muove il braccio dell’aborto e ci convince che la vita è degna solo quando è perfetta.
Un figlio con disabilità non è mai un errore. Non è difetto della natura, né un castigo di Dio, né un errore diagnostico. È un figlio, amato. Volete prove tangibili? Chiedetemi di parlare con questi genitori. Non vi nasconderanno le notti in bianco, le lacrime, le suppliche, gli ostacoli burocratici. Ma se chiedete loro: “Vi siete pentiti di aver fatto nascere questo figlio malato?”. Vi risponderanno con un sorriso vero, profondo. Quel figlio è il senso della loro vita.
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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