7 Ottobre 2024
Omicidio, sicari, uccisione di un essere umano: la verità dovrebbe far male. E invece…
A proposito dell’indignazione generale alle parole di papa Francesco: “Le donne hanno diritto alla vita: la vita loro e la vita dei figli”. E ancora: “Un aborto è un omicidio”, “si uccide un essere umano”, “i medici che si prestano a questo sono, permettetemi la parola, sicari”. Queste affermazioni hanno creato un grande polverone. Secondo alcuni il Papa si è spinto troppo in là. Antonio Chiantera, segretario dell’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi) ha detto che “lo Stato vaticano ha rapporti diplomatici con lo Stato italiano e c’è reciproco rispetto ma è molto doloroso per i medici essere definiti dei ‘sicari’”. E ha aggiunto di essere certo che il Papa “si sia sbagliato nell’usare il termine ‘sicari’” e che gli scriverà “facendo presente che non meritiamo tale trattamento”.
Ora è pur vero, per esperienza associativa, che purtroppo l’utilizzo di alcuni termini e definizioni spesso è controproducente nella diffusione e costruzione della cultura della vita. Genera infatti delle fratture e delle distanze che finiscono solo per essere partitiche e ideologiche. Non aiutano nessuno, tantomeno le donne e i loro figli. Ma la reazione globale e i titoli di alcuni giornali mi hanno molto fatta riflettere su come l’aborto sia percepito dalla stragrande maggioranza degli italiani come un’esperienza normale da farsi senza alcuna remora, solo perché è ammesso dalla legge.
Il processo culturale della legalizzazione dell’aborto ha finito per legittimare e giustificare un’azione oggettivamente cattiva. È avvenuto una vera rivoluzione di rimozione del senso di colpa. Perfino la coscienza definita dagli studiosi come la “consapevolezza di sé, degli altri e dell’ambiente che ci circonda, quindi essere presenti per sé e per gli altri e rispondere agli stimoli” è stata sostituita dalla certezza che se l’azione di abortire è un diritto sacrosanto, tanto da organizzare le strutture sanitarie dello Stato per garantire gratuitamente quell’azione, allora non c’è nulla di male ad abortire.
La coscienza del singolo, cioè, viene sostituita dalla percezione e dalla diffusione del fenomeno a livello sociale. Avviene anche per altri temi come il diritto a morire. Se si vuole legalizzare l’eutanasia si dice che ci sono migliaia di persone che invocano, tra atroci sofferenze, la morte. Eppure, basterebbe davvero dare voce a tutte quelle donne che praticando l’aborto “legale e sicuro” sono uscite devastate da quest’esperienza. Basterebbe dare la voce a quei medici che, dopo anni passati ad applicare quella legge, dicono basta all’aborto. Invece i giornaloni raccolgono sono le voci dei sonnambuli, di coloro che, nonostante la scienza dica chiaramente che il concepito è un essere umano, si appigliano al sofisma secondo cui è un essere umano ma non è una persona.
Un modo subdolo per classificare gli esseri umani di serie A da quelli di serie B. Una cultura purtroppo che ha ammaliato milioni di persone, che ha rilegato in un angolo la coscienza e che ipocritamente ha convinto tutti che, per il bambino partorito in casa e seppellito vivo, sia prevista la lapidazione generale e un processo per infanticidio mentre per l’aborto, compiuto allo stesso modo qualche settimana prima, sia garantito il red carpet dei diritti civili.
Il Caffè sospeso...
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Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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