“Ho praticato aborti per 40 anni: è brutto come uccidere in guerra”. La testimonianza
“Di qua gli aborti, di là nascite. E in mezzo quella porta. Una porta di colore grigio, pesante e fredda come la sala operatoria che lasciavo dietro di me: i gambali ginecologici, le valve, gli aspiratori, le cannule. Freddo l’ambiente, freddi gli animi, freddo il sangue. Perché freddo è l’aborto. Triste, silenzioso e terribilmente freddo”. Parole del Papa, di un prete, di un volontario del CAV? No, di un medico che ha praticato aborti per 40 anni.
Come c’era da aspettarsi, la stampa e i social si sono indignati quando il papa, qualche giorno fa, ha affermato – come già fatto moltissime altre volte in questi anni – che l’aborto è un omicidio e che i medici che lo praticano sono dei sicari. Parole che, seppure non siano nuove nella bocca di Francesco, ogni volta generano un terremoto.
Le reazioni sono state durissime, dal fronte pro-choise. Molti lo accusano di dire il falso: di fatto, l’aborto non sarebbe un omicidio.
E se a dire questo non fosse il papa, un prete, un vescovo, una suora… ma un medico che gli aborti li ha praticati per oltre quarant’anni?
E se a stampare un libro che contenga questa tesi (“l’aborto è un omicidio”) non fosse un’editrice cattolica, magari alle dipendenze del Vaticano, ma la Mondadori?
Lasciate che vi riproponiamo la storia di Massimo Segato…
La vicenda
“Sa cosa volevo fare? Volevo denunciarla. Ero andata anche dal mio avvocato. E invece sa una cosa? Le dico Grazie. Grazie per aver sbagliato, dottore!”, indicò con la mano il piccolo Giulio. “È la gioia della nostra famiglia”.
Queste parole furono rivolte al dott. Massimo Segato, ginecologo vicentino, da una donna che si era recata da lui per abortire e che, invece, si era ritrovata ancora incinta dopo l’operazione. Un errore, che era “costato” la nascita di un bambino.
Un errore che segnerà l’inizio del dissidio interiore del dott. Segato, la cui storia è raccontata nel libro autobiografico L’ho fatto per le donne (Mondadori, 2017).
Questo medico aveva iniziato la sua carriera nei primi anni ‘80, appena dopo l’introduzione della legge che rendeva legale l’aborto in Italia, una legge per la quale si era battuto, da studente, pensando alla sofferenza di tante donne finite in mani senza scrupoli per abortire non in sicurezza.
Segato pensava all’aborto come al male minore: se farlo clandestinamente metteva a rischio due vite, con l’aborto sicuro “almeno” si salvava di certo la donna.
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Questo ragionamento, che in filosofia potremmo definire “utilitarista”, non sempre appagherà la coscienza di Segato, che ben presto, da medico non obiettore, inizierà a odiare il suo “sporco lavoro”.
In particolare, però, gli scrupoli si acuiranno dopo quell’ “intervento sbagliato”, grazie al quale un bambino che doveva essere abortito potrà venire alla luce.
Nel libro spiega:
“Barbara e Giulio (la mamma del bambino che doveva essere abortito e il bambino ndr) mi avevano scosso in profondità, toccando corde che non conoscevo. Quel bambino sveglio, discolo e furbetto era dentro di me e giocava con la mia anima. Quando decidevo di interrompere una gravidanza, Giulio urlava e scalciava”.
Arriverà ad affermare: “Di qua gli aborti, di là nascite. E in mezzo quella porta. Una porta di colore grigio, pesante e fredda come la sala operatoria che lasciavo dietro di me: i gambali ginecologici, le valve, gli aspiratori, le cannule. Freddo l’ambiente, freddi gli animi, freddo il sangue. Perché freddo è l’aborto. Triste, silenzioso e terribilmente freddo. Almeno quanto è calda l’ostetricia con le sue mamme e i loro piccoli”.
Se oggi gli viene chiesto perché abbia scelto di essere un medico abortista, lui si difende prontamente, quasi offeso da quell’aggettivo: “Io non mi definisco abortista. Nessuna persona equilibrata, seria, sana di mente può essere a favore dell’aborto. L’aborto è una realtà orribile. Sarei la persona più felice del mondo se nessuna donna scegliesse più di farlo… Però è una realtà che esiste e una legge consente di abortire in sicurezza. Io mi limito ad applicarla, lo faccio per garantire un servizio previsto dallo Stato”.
Segato non è mai diventato obiettore di coscienza, pensando che le donne potrebbero tornare a ricorrere alle “mammane” qualora non trovassero un medico disponibile, ma, in cuor suo, prende così tanto le distanze dell’aborto, che arriva perfino ad affermare di sentirsi “un automa” mentre opera. Sa di essere un “assassino” nei confronti di quei “bambini già un po’ formati” (testuali parole) che lui vorrebbe lasciar vivere ancora e dei quali, invece, “causa la morte con le sue stesse mani”. Ogni intervento lo lacera, lasciando in lui dubbi sulla bontà del suo lavoro. Si sente come un soldato che spara per ordine dello Stato che lo ha chiamato alle armi.
Ha quattromila bambini non nati sulla coscienza. E continua a ripetere che lui lo ha fatto solo per le donne. Dentro, infatti, continua a dirsi: “È Brutto. Brutto come uccidere in guerra”.
Non solo il papa, non solo la Chiesa credono che l’aborto sia un omicidio. Questa tesi la può sostenere, come nel caso di Segato, anche chi sicario ci si sente da sé, semplicemente interpellando la propria coscienza, senza che nessuno gli dia quell’etichetta “dall’alto”.
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