Lunedì pomeriggio in Svizzera, vicino al confine con la Germania, utilizzando la capsula per il suicidio assistito Sarco, una donna di 64 anni del Midwest degli Stati Uniti è morta. Secondo Florian Willet, co-presidente di The Last Resort, un’affiliata svizzera di Exit International che sponsorizza il suicidio assistito proprio attraverso questa tecnica, la donna soffriva di una “grave compromissione immunitaria” e ha descritto la sua morte come “pacifica, rapida e dignitosa”.
La capsula Sarco è una delle ultime novità in tema di suicidio assistito: è progettata per consentire a una persona all’interno di premere un pulsante che inietta gas azoto nella camera sigillata. La persona si addormenta e muore per soffocamento in pochi minuti. Sulla tragica vicenda indaga la polizia e i pubblici ministeri hanno aperto un fascicolo per sospetto di istigazione e complicità nel suicidio.
Si potrebbe esultare affermando: la tecnica va avanti! Purtroppo, dovremmo invece, senza ombra di dubbio ammettere che dove la tecnica è orientata da un pensiero funzionalista o, peggio ancora, se si sposa con il dato economico, le conseguenze di una visione del genere ci portano a una forma di autodeterminazione assoluta dove non esiste nulla a parte il buon funzionamento del corpo.
Ancora una volta, in nome di una falsa idea di libertà confondiamo la fine con il fine della vita. Siamo molto concentrati sulla fine dell’esistenza umana, ma siamo poco orientati sul fine dell’esistenza. Bisognerebbe aprire delle scuole di senso, per imparare che la vita non è fine a sé stessa e che c’è un senso più grande che giustifica il nostro vivere. Il problema è che spesso la fine è anche il fine.
Cecilia Sanders, fondatrice delle cure palliative, afferma che si muore degnamente quando c’è un’attenzione globale del morente. Oggi l’iper-tecnicizzazione sovente si concentra solo sul dolore fisico ma la persona rischia di essere abbandonata e viene inficiata così la qualità della vita. Nel 2015 papa Francesco per la Giornata del Malato, disse che, quando si parla di qualità di vita spesso ci si riferisce a un criterio in base al quale stabilire chi è degno di vivere e chi no. Noi dovremmo invece parlare di vita di qualità, cioè cercare di creare tutte le condizioni affinché una persona possa avere le condizioni di vita migliori nella sua specifica situazione.
Tutto questo è molto più impegnativo, perché non si seleziona nessuno ma di tutti ci facciamo compagni di viaggio ed è esattamente quello che la Chiesa fa e chiede di fare. Insieme, come un popolo che si fa carico dell’altro con amore e non lo chiude anzitempo in una bara ancora vivo. Forse usare alcune espressioni ci aiuta a renderci conto dell’assurdità di una cultura di morte, prodiga nel disfarsi dei più deboli.
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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