CORRISPONDENZA FAMILIARE

“Non voglio perdere il poco tempo che mi resta da vivere”

26 Agosto 2024

Santi Luigi e Zelia

Il cammino coniugale di Luigi e Zelia, iniziato il 13 luglio 1858, termina bruscamente 19 anni dopo, il 28 agosto 1877, al termine di una battaglia assai dolorosa con il male, Zelia “entra nella vita”. La Chiesa celebra i suoi santi proprio nel giorno della morte, considerato come il vero dies natalis, il giorno della nuova nascita. Nel caso di Luigi e Zelia la memoria liturgica è legata al giorno nuziale, quello in cui hanno unito per sempre i loro cuori. Ma non possiamo dimenticare l’anniversario della morte, soprattutto quando è il punto di arrivo di una malattia che avrebbe potuto spezzare ogni legittima speranza e mostrare tutta la debolezza della fede. E invece, anche questo passaggio diventa un’occasione per manifestare la forza della fede. 

Zelia cammina nella luce e verso la luce. Anche durante il tempo delle tenebre, anche quando la malattia si insedia nella sua carne la costringe poco alla volta a restringere il suo orizzonte esistenziale. Ella sa che Dio la chiama ad incamminarsi per la “via stretta” (Mt 7,14) e accoglie questo nuovo, imprevisto ed esigente itinerario. È un cammino che santa Zelia percorre con grande lucidità, sospinta dalla speranza e dalla carità. Rinnova ad ogni passo la sua fedeltà. E quando comprende che l’esistenza corre ormai verso la fine, non smette di cantare la sua fede. E lo farà fino alla fine. L’ultima lettera porta la data del 16 agosto, dopo aver descritto le sue indicibili sofferenze, conclude così: “Se la Santa Vergine non mi guarisce, è perché il mio tempo è finito e il buon Dio vuole che mi riposi altrove che sulla terra…” (LF 217). 

Possiamo seguire la via crucis attraverso le lettere che Zelia scrive in questo periodo, in esse troviamo molte pagine dedicate alla sua malattia ed emerge perciò una testimonianza luminosa di come una sposa e una mamma cristiana si prepara a morire. In quei mesi le lettere sono più numerose rispetto agli anni precedenti, segno del suo carattere e della voglia di vivere ma anche espressione di quell’istintivo desiderio di lasciare una traccia, quasi un testamento. In questi mesi scrive alla cognata, al fratello, a Paolina, al marito. L’ormai prossima conclusione della vita la invita a ricordare e a condividere fatti del passato, eventi provvidenziali e scelte significative. 

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Agli inizi del 1877, l’ultimo anno della sua vita, Zelia scrive alla cognata: “Il buon Dio mi dà la grazia di non spaventarmi sono tranquillissima mi sento quasi felice non cambierei la mia sorte con nessun’altra”. È una bellissima testimonianza. In primo luogo perché attribuisce ad una speciale grazia del Signore la sua sostanziale serenità dinanzi al pericolo. In secondo luogo perché conferma la sua fede in Colui al quale fin da piccola ha consegnato la sua vita: non cambierei la mia sorte e sono contenta di quello che Dio mi ha dato! In fondo, è questo il segreto della pace, essere contenti di quello che abbiamo ricevuto. Zelia aggiunge: 

“se il mio Dio mi vuole guarire sarò contentissima perché in fondo desidero vivere mi duole lasciare mio marito e le mie figliole ma d’altra parte mi dico che se non guarirò è forse perché per loro sarò utile che io me ne vada ».

Uno sguardo come questo può nascere solo dalla fede e dalla più assoluta fiducia. Noi non sappiamo e non possiamo conoscere il futuro ma sappiamo che tutto è nelle mani di Dio. e Lui orienta tutto verso il Bene e conduce tutti alla pienezza. “Come aveva promesso”, canta Maria nella casa di Zaccaria. È questa la fede di Zelia!

LF 213
15 luglio 1877

Mia cara sorella,
la sua lettera è veramente commovente, come quella di mio fratello; mio marito ne aveva le lacrime agli occhi. È pieno di ammirazione per la vostra devozione e le assicuro che mi consola grandemente, quando considero la mia partenza da questo mondo, il pensare all’aiuto che avrò in voi per le mie care figliole. […] 
Come le ho detto, la domestica doveva andarsene il mese prossimo, ma, vedendo che io non sono più capace di nulla, vuole restare fino alla mia morte. Non posso rifiutare questo, nelle attuali circostanze, è molto devota e farà meglio che potrà; peccato che abbia a rimproverarle delle cose tanto gravi. Pretende che nessuno mi curerà come lei e lo penso anch’io.
Lei mi chiede ancora che le parli della mia malattia. Ahimè, che cosa gliene posso dire, se non che il male si aggrava di giorno in giorno? Non posso né vestirmi, né spogliarmi da sola; il braccio, dalla parte malata, rifiuta ogni servizio, ma la mano almeno mi serve ancora a tenere un ago! Di più ho un malessere generale, dei dolori agli intestini e la febbre da una quindicina di giorni; insomma, non posso restare in piedi, bisogna che stia seduta. Quanto al collo, non è guarito, ma non ho patito sofferenze così grande come quelle sentite la domenica in cui le ho scritto. Di giorno non ho quasi crisi, è solo la notte che i miei nervi si irrigidiscono ed allora mi occorrono precauzioni inaudite per cambiare posizione. Però, ho imparato il mio mestiere comincio a sapere come fare per sollevarmi: riesco così ad evitare le crisi. Da tre notti dormo abbastanza bene; le altri notti sono state pessime perché ero troppo agitata. Il fatto di non potermi muovere, mi sovraeccitava di più, perciò ho deciso di uscire, tutte le sere, in giardino e di stancarmi un po’; l’esperimento è riuscito.
Lei mi dice di non perdere la fiducia: è quello che faccio. So benissimo che la Santa Vergine mi può guarire, ma non posso astenermi dal temere che non lo voglia e le dirò francamente che un miracolo mi sembra ormai molto dubbio. Ho preso la mia decisione e procuro di fare come se dovessi morire. Occorre assolutamente che non perda il poco tempo che mi resta da vivere: sono dei giorni di salvezza che non ritorneranno mai più, ne voglio approfittare. Ne avrò doppio profitto, soffrirò di meno rassegnandomi e farò una parte del mio Purgatorio sulla terra. Chieda per me, la prego, la rassegnazione e la pazienza, ne ho gran bisogno; lei sa che di pazienza non ne ho affatto.
Non speravo più questa mattina di poter venire a Lisieux, ma mi sento veramente meglio. La febbre è scomparsa e credo che potrei fare ancora una volta questo viaggio. In ogni caso, le condurranno Maria e Paolina; ci tengo assolutamente. Non posso dirle quanto tempo rimarranno: dipenderà dalle circostanze. […] 
Non occorre, mia cara sorella, che risponda a tutte le mie lettere, le scrivo troppo spesso; risponderà alla mia prossima, che non si farà attendere. Spero di poterle dire, domenica, che il miglioramento continua. L’abbraccio come l’amo.
Sua affezionata sorella



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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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