Il suo nome è Francesca, 42 anni e un sorriso bellissimo dalle foto che circolano sui social. Da maggio si sono perse le sue tracce. Secondo il marito Igor Sollai, autotrasportatore di 43 anni, la moglie si sarebbe allontanata volontariamente e si sarebbe presa un periodo di riflessione. Ipotesi accreditata da una mail al suo datore di lavoro e una serie di messaggi, partiti dal cellulare di Francesca. Ma secondo gli inquirenti sono tutti stratagemmi attuati da Sollai nel tentativo di nascondere il delitto. Intanto né di Francesca, né del suo corpo ci sono tracce.
Siamo abituati ormai a questo genere di notizie, per lo più derubricate sotto il nome di femminicidi. Individuiamo il colpevole, circoscriviamo la violenza e voltiamo pagina. Troppo semplice. In questa storia come in tante altre c’è una responsabilità collettiva che non si può negare oltre quella oggettiva del colpevole. Ne approfitto per fare un appello ai miei colleghi di lavoro: “se vi mando una mail in cui mi licenzio, per favore dopo chiamatemi e se non vi rispondo venite a vedere a casa, di persona, se mi è accaduto qualcosa”.
L’assurdo di questa vicenda è infatti che, se è vero che il marito si sia appropriato dello smartphone della moglie fingendosi lei per mandare mail e messaggi di scusa ad amici e parenti sul fatto che era un tempo difficile e aveva bisogno di un periodo di riflessione, perché nessuno ha sentito la necessità di alzare il sedere dalla sedia e andare a controllare l’amica, la collega di lavoro, la vicina di casa cioè Francesca? O di farle almeno una telefonata?
Siamo nel tempo in cui attraverso i messaggi su whatsapp si può scrivere di tutto. La scrittura può mentire ma la voce no. Quella non si può sostituire. Ed è gravissimo quello che è accaduto. Devo darvi una brutta notizia: le relazioni non si mantengono a colpi di messaggi. I rapporti non si gestiscono attraverso quella piccola macchinetta infernale. Torniamo ad essere uomini e donne che si incontrano, si guardano negli occhi, si abbracciano, litigano anche ma basta con l’illusione di una vita edulcorata attraverso gli smartphone. Bisogna ricominciare a vivere. Per Francesca, per i nostri figli, per un mondo migliore.
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia
Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
Lascia un commento