CORRISPONDENZA FAMILIARE

State insieme, se potete. La precarietà dell’amore

17 Giugno 2024

divorzio

In un’epoca dominata dalla cultura della precarietà tutto appare provvisorio, anche l’amore che unisce l’uomo e la donna pare destinato a finire, come le onde del mare che si infrangono sugli scogli. Tutto finisce, prima o poi, dicono i disfattisti. “L’amore dura tre anni”, è il titolo di un libro che Massimo Gramellini, prestigiosa firma del Corriere, ritiene “cinico ma vero”. Si parte sempre con le migliori intenzioni e poi… la passione iniziale si affievolisce, fino a scomparire, lasciando ferite e delusioni che appesantiscono e spesso condizionano le scelte future. Vi sono quelli che scelgono di continuare perché hanno paura di restare da soli. Altri che preferiscono la libertà individuale alle regole di una convivenza non (più) appetibile. 

A leggere queste e altre esperienze sembra che l’amore sia destinato a non avere un futuro. Nasce già morto. “Da oggi e per sempre”, dico agli sposi subito dopo aver confermato e benedetto il loro patto nuziale. Parole suggestive che contrastano con la regola non scritta che accompagna l’esperienza di tanti altri sposi. Parafrasando una famosa frase di san Filippo Neri, che ha dato il titolo ad un film, potremmo dire agli sposi: state insieme, se potete. E molti, anche all’interno del mondo ecclesiale, pensano che non possiamo chiedere di più, La realtà statistica sembra dare ragione a quelli che ritengono che l’amore coniugale abbia una data di scadenza. 

D’altra parte i giovani sono abituati a vivere la precarietà dell’amore perché spesso arrivano alle nozze – quando ci arrivano! – dopo aver vissuto molteplici esperienze affettive e sessuali. Come se fosse del tutto normale, come salire e scendere dal treno. Un background come questo rende oggettivamente più diffidenti e più deboli. E perciò meno combattivi e più disposti ad abbandonare il campo quando la vita presenta difficoltà impreviste e richiede più fatica, più di quello che siamo disposti a dare. 

Allo scetticismo di coloro che, in numero sempre maggiore, sponsorizzano la fine dell’amore, i credenti annunciano che “l’amore non ha fine” (1Cor 13,8). L’amore romantico, che si affida solo ai sentimenti, non ha futuro. Ma l’amore che diventa condivisione, amicizia e reciproco sostegno non viene meno e può vincere quella fisiologica precarietà che, per sua natura, insidia ogni esperienza umana. 

Per affrontare la sfida dell’amore occorre avere la certezza che è possibile giungere vivi alla meta. Dobbiamo sapere che l’amore, se coltivato e vissuto con realismo, è capace di dare sapore a tutte le stagioni della vita. Abbiamo bisogno di incontrare sposi che, a distanza di anni dai giorni della giovinezza, e malgrado la fatica e le ferite, testimoniano la gioia dell’amore. Ricordando l’esperienza vissuta a Valencia, nel corso dell’Incontro Mondiale delle Famiglie, Papa Benedetto mise l’accento sulla gioia che nasce dalla fatica 

“È stato bello ascoltare, davanti all’assemblea di persone di tutti i continenti, la testimonianza di coniugi che – benedetti da una schiera numerosa di figli – si sono presentati davanti a noi e hanno parlato dei rispettivi cammini nel sacramento del matrimonio e all’interno delle loro famiglie numerose. Non hanno nascosto il fatto di aver avuto anche giorni difficili, di aver dovuto attraversare tempi di crisi. Ma proprio nella fatica del sopportarsi a vicenda giorno per giorno, proprio nell’accettarsi sempre di nuovo nel crogiolo degli affanni quotidiani, vivendo e soffrendo fino in fondo il sì iniziale – proprio in questo cammino del “perdersi” evangelico erano maturati, avevano trovato se stessi ed erano diventati felici. […] Così dalla testimonianza di queste famiglie ci giungeva un’onda di gioia, non di un’allegrezza superficiale e meschina che si dilegua presto, ma di una gioia maturata anche nella sofferenza, di una gioia che va nel profondo e redime veramente l’uomo” (Benedetto XVI, 22 dicembre 2006)

In una recente liturgia, agli sposi che celebravano il loro primo giubileo nuziale, ho ricordato che la loro unità, custodita con fede e non senza fatica, era frutto di un impegno che aveva il sapore della quotidianità. Ho fatto notare che la promessa nuziale inizia con la poesia – “prometto di esserti fedele sempre” – e si conclude con la prosa: “Tutti i giorni della mia vita”. L’amore segue il ritmo della vita, è fatto di giorni. Tanti giorni e nessuno uguale all’altro perché, come scrive David Maria Turoldo, “mai la stessa onda si riversa / nel mare e mai / la stessa luce si alza sulla rosa / né giunge all’alba / che tu non sia / già altro!” (O Qohelet, in O sensi miei …, 646). 

Leggi anche: Si può amare una persona per sempre?

La quotidianità è esposta al rischio della ripetizione che banalizza ogni cosa. Solo l’amore salva perché dona senso e valore anche alle piccole cose di ogni giorno. L’amore coniugale è un intreccio sapiente di grandi ideali e di piccoli gesti. Un amore che vive di sogni ma fugge la realtà è solo un’illusione di sensi. L’amore accetta la sfida del quotidiano: non basta dire: per tutta la vita; occorre aggiungere: ogni giorno della mia vita. I giorni non sono tutti uguali, se sfogliamo il calendario della vita e ripensiamo al cammino compiuto la vita appare in tutta la sua complessità: 

vi sono i giorni luminosi e quelli oscuri;

i giorni in cui tutto appare possibile e quelli in cui tutto sembra inutile;

i giorni in cui l’orgoglio fa alzare i muri e quelli in cui l’umiltà fa ritrovare la gioia di un abbraccio;

i giorni in cui ci sentiamo soli e quelli in cui risplende la condivisione. 

Amo la notte come il giorno”, scrive Teresa nella poesia La mia gioia (P 45, 3). La fede non azzera i sentimenti ma dona la grazia di vivere ogni cosa nella luce di Dio. Ogni giorno è degno di essere vissuto perché in ogni giorno Dio semina vita. Per questo ogni giorno è una grazia e una nuova opportunità. La fede sostiene l’amore e dona la grazia di attraversare i giorni della vita senza amplificare le ombre e i limiti che rivelano la fragile umanità di cui siamo impastati. 

Cari sposi, è tempo di rialzare la testa e dire ad alta voce che amarsi è faticoso ma, senza questa fatica, la vita sarebbe come un viaggio senza meta, una casa vuota, un terreno non seminato. È l’amore che fa della vita una piccola luce che continua a risplendere, anche quando i giorni sono consumati.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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