CORRISPONDENZA FAMILIARE
Una mamma e la sua bambina. Icona della fragilità
13 Maggio 2024
Pellegrinaggio ad Assisi, con un folto gruppo di giovani. Un luogo dove la santità di Francesco e Chiara risplende, affascina e attira. Celebriamo Messa in una Cappella di Santa Maria degli Angeli. C’era anche Rebecca, 17 anni, assieme alla madre. È una ragazza che non passa inosservata, non ha mai imparato a parlare, non potrà mai parlare, può solo urlare grida incomprensibili. Altre mamme sarebbero rimaste nascoste, lei invece era lì con la sua bambina. È venuta con il suo dolore, le sue domande, la sua supplica, le sue paure.
Ad un certo punto si è allontanata, Rebecca manifestava segni di insofferenza e la povera donna pensava di disturbare l’assemblea liturgica. L’ho vista uscire con dispiacere, se avessi potuto, le avrei detto: “Stai qui, non ti preoccupare, la tua presenza ci aiuta a stare dentro una storia segnata dalla fragilità”. In realtà s’era solo appartata, poi l’ho vista rientrare e con la bambina accostarsi alla Mensa eucaristica per ricevere il Pane della vita.
Una mamma coraggiosa e piena di fede. Lei pensava di disturbare e chissà quante volte, partecipando a Messa, ha incontrato lo sguardo compassionevole e… infastidito dei devoti. E invece, era lì inviata dallo Spirito per ricordare a tutti noi, ai giovani che vivevano il pellegrinaggio con la serietà scanzonata tipica della loro età, che la sofferenza appartiene all’esperienza umana e talvolta non si limita ad apparire ma viene ad abitare la nostra casa, entra di prepotenza nel nostro cuore e disperde i sogni di una vita. È una sofferenza che non raramente consuma le buone intenzioni e lascia solo desolazione. Insieme alla paura di non farcela…
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Dopo la Messa, mentre attendevo i giovani nella grande Basilica, ho visto di nuovo quella donna che pregava dinanzi ad un altare. Aveva una supplica da consegnare. Mi sono avvicinato e le ho detto: “Grazie. La tua presenza ha reso più bella la celebrazione, la tua fede mi ha commosso, il tuo coraggio mi ha confortato”. Era sorpresa e emozionata, non sapeva cosa dire, tra le lacrime mi ha raccontato alcuni frammenti della sua storia. Abbiamo pregato assieme la Vergine Santa e ho dato una benedizione a lei e alla sua bambina. Mi sentivo come Simeone che nel Tempio incontra una giovane coppia e riconosce nel Neonato Colui che viene per illuminare la storia. Rebecca è icona di quel Bambino venuto per dare un senso e un volto ad una storia che cammina nelle vie dell’ingiustizia. È un frammento luminoso di questa storia fragile e redenta. Una storia in cui l’amore di una madre vince l’istintiva paura e riveste di dignità la vita di quella bambina.
L’incontro imprevisto con la sofferenza mi ha ricordato la condizione in cui vivono tante famiglie che portano il peso della disabilità. Non è facile vivere questa esperienza come una grazia. Anche chi ha fede sente tutta la fatica e la solitudine. La disabilità fa paura, si presenta come una montagna impossibile da scalare. L’amore non basta per vincere questa battaglia. Tutto l’amore che i genitori sono capaci di mettere in campo non è sufficiente. C’è bisogno della fede per guardare oltre le apparenze e riconoscere la presenza di Gesù nella carne malata. E c’è bisogno di una comunità che sa restare accanto in tutti i modi possibili per testimoniare che ogni essere umano è storia sacra.
Sono queste le vere famiglie fragili, quelle che, prima e più di tutte le altre, avrebbero bisogno di essere attenzionate e accompagnate con premura, quelle che di fatto sono emarginate e/o rischiano di rimanere ai margini della vita ecclesiale. Ben vengano i convegni specializzati, come quello che si è svolto a Scampia il mese scorso. Manca una prassi ecclesiale che interseca la vita ordinaria delle parrocchie. Manca una spiritualità che educa a guardare con occhi nuovi, quella che permette di fare la stessa esperienza di Francesco d’Assisi che, rievocando gli inizi della sua conversione, scrive nel suo Testamento: “ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo”.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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