7 Marzo 2024

Mi confessai tante volte ma non riuscivo mai a sentirmi perdonata…

“La mia storia comincia circa sette anni fa quando una mattina dopo un test di gravidanza mi rendo conto di essere incinta! Una gravidanza molto desiderata e attesa perché arrivava dopo un periodo in cui ho avuto dei problemi di salute. Quella mattina, era circa metà aprile, uscii di casa per accompagnare Simone a scuola e mi sembrava di camminare sopra le nuvole mentre custodivo un così meraviglioso e prezioso segreto! Cominciai a fare tutte le visite e gli esami che fanno le donne in gravidanza compresi i test prenatali più per routine che per una reale paura. Purtroppo quei test verso la metà di giugno 2016 ci insinuarono il dubbio e poi la certezza con l’amniocentesi che la bambina che aspettavo era portatrice della sindrome di Down. I medici ci prospettarono subito la loro “soluzione”: interruzione di gravidanza, come fosse semplice e banale, come togliere un dente cariato!

Mio marito non riusciva ad accettare una figlia disabile ma nonostante prendesse tempo aveva già deciso! Io riuscivo solo a pensare che quella creatura era mia figlia e lei, nel frattempo, cominciava a muoversi nel mio grembo. Intanto attorno a me ognuno diceva la sua: “non avrà una vita normale”, “sarà un peso che lascerai a suo fratello”, “dovrai lasciare il lavoro”. Alla fine, credo che neanche io accettassi una figlia impegnativa e problematica come poteva essere la mia bambina e così anche io, la sua mamma, la condannai a morte nascondendomi dietro un “sarà meglio anche per lei, che vita avrebbe?”.

Da quel giorno andai avanti fino al giorno dell’aborto senza mai voltarmi indietro, senza darmi mai la possibilità che un minimo dubbio si insinuasse nella mia mente. Mi ricoverano il 3 agosto e quello che stavo facendo si chiamava tecnicamente ITG perché avveniva dopo i 90 giorni di gestazione ed io ero alla 20esima settimana! Entrai sapendo di dovere rimanere lì tre giorni perché questo prevedeva la procedura, così la chiamavano i medici. Il primo giorno mi diedero 3 pillole di RU 486 che io ingoiai senza esitazione e ricordo la sensazione che provai, mi sentivo anestetizzata come se avessi staccato la mia anima dal mio corpo.

Quelle tre pillole servivano a fare cessare di vivere Anita, questo è il nome che abbiamo dato alla mia piccola e così fu. Non potrò mai dimenticare quel suo straziante ultimo calcio e poi non la sentii più! Da quel momento cominciai a prendere coscienza di dove ero e cosa stavo facendo. Anita la partorii morta nella mia stanza il 5 agosto 2016 alle 14:00 circa. Credo di avere vissuto per tre giorni all’inferno e non è un modo di dire, quel posto era l’inferno! Tutti i giorni arrivavano donne con i loro bambini in grembo e uscivano con il loro grembi vuoti e questo per tre giorni, tutti i giorni! Quel luogo era pervaso dal tanfo della morte che mi circondava e che non scorderò mai!

Mi confessai tante volte ma non riuscivo mai a sentirmi perdonata, ero cosciente che Dio mi avesse perdonata, ma ero io che non perdonavo me stessa e non mi permettevo di accogliere la sua misericordia. Un giorno per caso trovai su internet il sito della Vigna di Rachele, un apostolato cattolico del post aborto nato in America ma presente anche in Italia. Io e mio marito decidemmo di partecipare a uno dei ritiri che offrivano e furono tre giorni tra i più belli, intensi e meravigliosi della mia vita! In quei giorni riuscii a stare con il mio dolore, a pregare, a piangere ancora a chiedere perdono a Dio e a mia figlia e a cominciare a sentirmi finalmente perdonata.

Mia figlia non mi odiava, ma anzi non aveva mai smesso di pregare per me, mi amava immensamente nonostante tutto. Questo mi ha permesso di guardare ancora, oltre a chi me l’aveva affidata a un amore ancora più grande, quello di Dio! Mio marito, che era stato molto fermo nella sua decisione, cominciò a guardare a quella bambina di più con tenerezza. Più come a sua figlia e anche lui si lasciò andare alle lacrime, ma soprattutto comprese il mio dolore immenso e questo ci permise di unirci in un dolore che fino a quel momento sembrava solo il mio!”.

(Fonte: http://www.vignadirachele.org/)



Il Caffè sospeso...
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Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!


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Giovanna Abbagnara

Giovanna Abbagnara, è sposata con Gerardo dal 1999 e ha un figlio, Luca. Giornalista e scrittrice, dal 2008 è direttore responsabile di Punto Famiglia, rivista di tematiche familiari. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Il mio Giubileo della Misericordia. (2016), Benvenuti a Casa Martin (2017), Abbiamo visto la Mamma del Cielo (2016), Il mio presepe in famiglia (2017), #Trova la perla preziosa (2018), Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018), Voi siete l'adesso di Dio (2019), Ai piedi del suo Amore (2020), Le avventure di Emanuele e del suo amico Gesù (2020), In vacanza con Dio (2022).

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