Papa Francesco a Natale: “Al principe della Pace si oppone il principe di questo mondo”

Durante la benedizione Urbi et orbi il Papa ha citato il profeta Isaia, che profetizzava di un giorno in cui “una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione”; in cui gli uomini “non impareranno più l’arte della guerra”, ma “spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci”. Quindi ha ricordato i luoghi del mondo in cui ci sono conflitti. “Con l’aiuto di Dio, – ha detto – diamoci da fare perché quel giorno si avvicini!”

La mattina di Natale, Papa Francesco ha trasmesso un messaggio di speranza e un invito alla pace sempre attuale, che può accompagnarci anche per i giorni e i mesi a venire.  

“Lo sguardo e il cuore dei cristiani di tutto il mondo sono rivolti a Betlemme; – ha detto il Santo Padre, durante la Benedizione Urbi et Orbi del 25 dicembre in Piazza san Pietro – lì dove in questi giorni regnano dolore e silenzio, è risuonato l’annuncio atteso da secoli: «È nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11)”. 

“Ci riempie di fiducia e di speranza sapere – ha continuato – che il Signore è nato per noi; che la Parola eterna del Padre, il Dio infinito, ha fissato la sua dimora tra noi. Si è fatto carne, è venuto «ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14): ecco la notizia che cambia il corso della storia!”

Per il Papa, la gioia che dona Gesù non è “la felicità passeggera del mondo, non l’allegria del divertimento, ma una gioia ‘grande’ perché ci fa ‘grandi’”. Ha ricordato che la speranza inaudita dei cristiani è quella di “essere nati per il Cielo”. 

A chi si sente smarrito il Papa ha voluto far giungere questo messaggio: “Dio ti tende la mano: non ti punta il dito contro, ma ti offre la sua manina di Bimbo per liberarti dalle paure, sollevarti dalle fatiche e mostrarti che ai suoi occhi vali come nient’altro”. Il Papa ha anche ricordato che col Natale si è compiuta l’antica profezia di Isaia: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio […] e il suo nome sarà: […] Principe della pace (9,5)”.

Purtroppo, esiste anche un nemico della pace.  “Nella Scrittura, – ha spiegato il pontefice – al Principe della pace si oppone «il principe di questo mondo» (Gv 12,31) che, seminando morte, agisce contro il Signore, «amante della vita» (Sap 11,26). Lo vediamo in azione a Betlemme quando, dopo la nascita del Salvatore, avviene la strage degli innocenti. Quante stragi di innocenti nel mondo”.

A questo punto, il Papa ha fatto un elenco dei “luoghi” in cui il demonio semina morte, a partire dal “grembo materno” e poi “nelle rotte dei disperati in cerca di speranza, nelle vite di tanti bambini la cui infanzia è devastata dalla guerra. Sono i piccoli Gesù di oggi, questi bambini la cui infanzia è devastata dalla guerra, dalle guerre”. 

Per il Santo Padre, dire “sì” al Principe della pace significa dire “no” alla guerra che è “viaggio senza meta, sconfitta senza vincitori, follia senza scuse”. 

Il Papa ha poi ribadito un concetto espresso in molte occasioni durante il suo pontificato: “Per dire ‘no’ alla guerra bisogna dire ‘no’ alle armi. Perché, se l’uomo, il cui cuore è instabile e ferito, si trova strumenti di morte tra le mani, prima o poi li userà. E come si può parlare di pace se aumentano la produzione, la vendita e il commercio delle armi?” 

Leggi anche: Chi trasforma la vita in un cielo? Maria! Preparandoci a vivere pienamente il Natale… (puntofamiglia.net)

Per il Papa, questa è una grande ipocrisia: “Oggi, come al tempo di Erode, le trame del male, che si oppongono alla luce divina, si muovono nell’ombra dell’ipocrisia e del nascondimento: quante stragi armate avvengono in un silenzio assordante, all’insaputa di tanti! La gente, che non vuole armi ma pane, che fatica ad andare avanti e chiede pace, ignora quanti soldi pubblici sono destinati agli armamenti. Eppure, dovrebbe saperlo! Se ne parli, se ne scriva, perché si sappiano gli interessi e i guadagni che muovono i fili delle guerre”.

Il Papa ha ricordato le parole del profeta Isaia, che profetizzava di un giorno in cui “una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione”; di un giorno in cui gli uomini “non impareranno più l’arte della guerra”, ma “spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci” (2,4). Ecco allora l’invito: “Con l’aiuto di Dio, diamoci da fare perché quel giorno si avvicini!” 

Il Papa ha poi rinnovato l’abbraccio delle comunità cristiane di Gaza, rivolgendo la sua affettuosa attenzione alla parrocchia di Gaza, e dell’intera Terra Santa. “Porto nel cuore il dolore per le vittime dell’esecrabile attacco del 7 ottobre scorso – ha detto – e rinnovo un pressante appello per la liberazione di quanti sono ancora tenuti in ostaggio”. 

Ancora una volta ha chiesto che “cessino le operazioni militari, con il loro spaventoso seguito di vittime civili innocenti, e che si ponga rimedio alla disperata situazione umanitaria aprendo all’arrivo degli aiuti”. E ha auspicato che “si avvii a soluzione la questione palestinese, attraverso un dialogo sincero e perseverante tra le Parti, sostenuto da una forte volontà politica e dall’appoggio della comunità internazionale”. 

Il Papa, poi, che spesso ha ricordato e pregato per i vari conflitti del mondo, nel giorno di Natale ha voluto ricordare i conflitti più gravi ancora presenti nel mondo, rivolgendo un pensiero alla popolazione della “martoriata Siria”, come pure a quella dello Yemen “ancora in sofferenza”. Ha posto lo sguardo sul popolo libanese, augurandosi che possa “ritrovare presto stabilità politica e sociale”.

Con gli occhi fissi sul Bambino Gesù ha poi implorato la pace per l’Ucraina, l’Armenia e lo Azerbaigian. Ha voluto poi ricordare la regione del Sahel, il Corno d’Africa, il Sudan, come anche il Camerun, la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan. Infine, ha voluto pregare per la penisola coreana e ha voluto affidare a Dio i dissidi sociali del continente americano, così come le disuguaglianze che portano al “doloroso fenomeno delle migrazioni”.

Dal presepe, ha detto il pontefice, “il Bambino ci chiede di essere voce di chi non ha voce: voce degli innocenti, morti per mancanza di acqua e di pane; voce di quanti non riescono a trovare un lavoro o l’hanno perso; voce di quanti sono obbligati a fuggire dalla propria patria in cerca di un avvenire migliore, rischiando la vita in viaggi estenuanti e in balia di trafficanti senza scrupoli”.

Nel salutare i fedeli, ha voluto infine ricordare il prossimo Giubileo, che inizierà tra un anno. “Questo periodo di preparazione sia occasione per convertire il cuore; per dire “no” alla guerra e “sì” alla pace; per rispondere con gioia all’invito del Signore che ci chiama, come ancora profetizzò Isaia, «a portare il lieto annuncio ai miseri, / a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, / a proclamare la libertà degli schiavi, / la scarcerazione dei prigionieri» (Is 61,1)”.




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