Morì pugnalato, stringendo l’Eucaristia: storia di un sacerdote innamorato

Immagine derivata da: Pasztilla aka Attila Terbócs, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Ricorre oggi, 15 dicembre, la memoria del beato Giovanni Brenner, che morì martire ai tempi del comunismo in Ungheria. Assalito per strada, difese fino alla fine l’Eucaristia. Custodita nella teca che portava appesa al collo, la stringeva, infatti, forte nella mano, mentre le pugnalate e i calci infierivano su di lui.

Per capire meglio la storia di questo giovane sacerdote, una storia che si compie velocemente in nemmeno ventisei anni di vita, bisogna partire dall’inizio.

Giovanni, o meglio János Mária Tobiá (il suo nome per esteso in lingua originale), nasce il 27 dicembre 1931 in una famiglia cattolica dell’Ungheria prebellica. Padre colto, madre generosa con i bisognosi, Messa e rosario al centro, questi sono i pilastri della vita familiare di Giovanni e dei suoi due fratelli (diventeranno sacerdoti tutti e tre).

Vivace e intelligente, ha soli sette anni quando la maestra di religione racconta in classe la storia di san Tarcisio, il protomartire adolescente ucciso perché scoperto a portare clandestinamente ai cristiani in carcere l’Eucaristia, difesa fino all’ultimo col suo stesso corpo dalla profanazione. Volendo fare della storia del giovane martire uno spettacolo teatrale, la maestra chiede ai bimbi chi voglia interpretarlo. Giovanni alza tutte e due le mani. È un’anticipazione della sua vocazione a donare la vita con passione.

I suoi studi di bambino e ragazzo si compiono nel periodo della repressione religiosa adottata dal governo comunista ungherese: le scuole vengono chiuse, gli insegnanti consacrati sostituiti da laici, sono tempi duri per la fede. Raggiunto finalmente il diploma, viene ammesso nei Cistercensi diventando a diciotto anni fra Anastasio. Tuttavia, il suo noviziato è vissuto in clandestinità, bisogna agire con cautela. Per preservare la sua vocazione e la sua vita i superiori gli suggeriscono il seminario diocesano e di conseguenza il sacerdozio, a cui il ragazzo si adatta, tra i limiti, i trasferimenti e le chiusure a cui vengono sottoposti anche i seminari diocesani per ordine del governo.

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Finalmente Giovanni è sacerdote, ha ventiquattro anni. La sua prima Messa è incentrata su una lettera di san Paolo e sulle parole che diventeranno il suo motto: “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”.

Affianca il parroco di una cittadina ungherese ai confini con l’Austria come vicario, e in un anno, grazie alla sua presenza la parrocchia, riprende vita. Giovanni si prende cura di bambini e giovani, ha buon cuore e un bel sorriso, la gente torna in chiesa. Questo lo rende malvisto dal regime, dai piani alti si sollecita il Vescovo a rimuovere quel sacerdote da lì per il suo bene. Giovanni ringrazia ma rifiuta, “non ho paura, resto qui volentieri” sono le sue parole in replica alle preoccupazioni del Vescovo, il quale capisce e gli concede di restare.

Da quel momento don Giovanni ha vita dura. Subisce qualche dispetto e tentano di procurargli incidenti mentre è in moto. In pubblico affronta il male che gli viene contro con ironia, ma in privato, negli scritti, rivela al buon Dio i suoi timori fondati, insieme alla disponibilità a soffrire per un bene più grande.

Il 14 dicembre del 1957, alla vigilia dei suoi ventisei anni, mentre è solo in parrocchia (il parroco in altro paese per le confessioni di Natale) viene chiamato durante la notte da un suo chierichetto perché porti i Sacramenti allo zio in fin di vita. Giovanni prende un Crocifisso, l’Olio per l’unzione, la teca dell’Eucaristia e parte a piedi insieme al ragazzo. Poco lontano dalla chiesa lo assalgono alcuni uomini, ma grazie al fisico atletico riesce a liberarsi e fuggire. Viene però aggredito di nuovo poco dopo, di nuovo fugge, perdendo il Crocifisso, ma non l’Eucarestia appesa al collo. Ormai vicino alla casa dell’ammalato, viene assalito per la terza volta, senza scampo. Le sue ultime parole sono “Signore aiutami”. Le coltellate sul suo corpo sono numerose, come i calci.

Il mattino seguente, vedendo la chiesa sbarrata e senza sacerdote i parrocchiani si mettono in cerca di don Giovanni. Ritrovano il suo corpo: nella mano sinistra il giovane sacerdote tiene ancora stretta la teca con l’Eucaristia.

Le indagini sulla sua morte sono ostacolate, il suo ricordo oltraggiato, insinuando un delitto passionale, i suoi ritratti vengono tolti dal seminario dove ha studiato. Questo fino alla caduta del regime, quando finalmente le indagini riescono a fare il loro corso. Giovanni è morto perché scomodo, troppo prete per il mondo.

Ma la gente che lo ha conosciuto in vita lo dice dal primo istante, dal momento in cui si diffonde la notizia della sua morte: don János è un martire odiato per la sua fede, e per l’amore a Dio rimasto puro e intatto fino all’ultimo istante.

Beato Giovanni Brenner, ti affidiamo le vocazioni e i cuori dei giovani: che la tua vita possa ispirarli, e che le tue mani paterne e amorevoli possano proteggerli sempre.




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Lisa Zuccarini

Lisa Zuccarini, classe '83, è una moglie e mamma che ha studiato medicina per poi capire alla fine di essere fatta per la parannanza più che per il camice. Vive col marito e i loro due bambini. Dal 2021 ha scoperto che scrivere le piace, al punto da pubblicare un libro edito da Berica Editrice, "Doc a chi?!", dove racconta la sua vita temeraria di mamma h24 e spiega che dire sì alla vocazione alla famiglia nel ventunesimo secolo si può, ed è anche molto bello.

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