“Anna” è una donna di 55 anni affetta da sclerosi multipla, morta lo scorso 28 novembre nella sua abitazione. A dare la notizia è stata l’Associazione Luca Coscioni in una nota, dove si evidenzia che per la prima volta in Italia, la procedura è stata eseguita con l’assistenza completa del Sistema sanitario nazionale. Su ordine del Tribunale di Trieste, infatti, ha fornito il farmaco letale e la strumentazione, mentre l’Azienda sanitaria ha scelto il medico il quale, su base volontaria, ha supportato l’azione richiesta nell’ambito e con i limiti previsti dall’ordinanza cautelare dello stesso Tribunale dello scorso 4 luglio, cioè “senza intervenire direttamente nella somministrazione del farmaco, azione che è rimasta di esclusiva spettanza di ‘Anna’” precisa la nota dell’Associazione.
Marina Casini, biotecista e presidente del Movimento per la Vita ha dichiarato al Sir che: “Attraverso la via delle Regioni, come è noto ideologicamente e sfacciatamente aperta dall’associazione Luca Coscioni si sta aprendo un baratro che finisce con l’indebolire a livello sociale ogni logica di autentica cura e accompagnamento del malato e dei suoi familiari”. Il paradosso, avverte, è che “in nome dell’autodeterminazione individuale le persone disabili e malate, magari prive di una rete di affetti autentici e di sostegno sanitario, finiranno per chiedere la morte convinte di non valere ormai più nulla per gli altri”.
Ed io mi fermerei su quest’ultima considerazione perché mi sembra essenziale per poter affrontare la questione. La solitudine, la convinzione di non valere più niente. Ho pianto ascoltando la notizia di Anna. Sola negli ultimi istanti della vita. L’unico a farle compagnia un uomo, un medico che a dire dei giornali dovrebbe essere anche premiato perché lo ha fatto gratuitamente, che si presenta come l’angelo della buona morte, il compassionevole che si muove a pietà dei desideri degli altri, colui che apparentemente ti aiuta a chiudere gli occhi per sempre senza la pena dell’agonia e del dolore ma che in realtà in quel preciso momento non sta facendo altro che sacrificare sull’altare di un’ideologia assurda e mortifera, un’altra vittima innocente. Dimenticavo, lui non ha colpe, il farmaco attraverso un pulsante Anna se lo ha iniettato da sola. Che grande ipocrisia!
Possibile che Anna non abbia avuto diritto ad ascoltare un’altra via percorribile? Nessuno che abbia detto ad Anna che quella morte così dolce, così apparentemente indolore in realtà è un grande inganno? Abbiamo disumanizzato anche l’ultimo istante della vita quando c’è chi stringe la mano, accarezza il volto, piange per quel distacco imminente per poi lasciar andare con il cuore colmo di gratitudine per quella vita che da cristiani abbiamo la certezza di rivedere un giorno. Il dolore, la sofferenza sono un passaggio obbligato. Nessuno afferma che sia facile, nessuno vuole che chi amiamo soffri. È per questo che esistono le cure palliative, è per questo che c’è la compassione, l’amore, la dignità del vivere come del morire.
In un libro molto bello di Susanna Bo che ho letto da poco, La buona battaglia, la scrittrice racconta la storia vera del suo amore e poi della morte di suo marito malato Luigi. All’ennesima volta che gli dicono di operarsi perché il tumore è ricresciuto (erano sposati da due mesi) lui le dice che aveva intenzione di buttarsi dalla finestra. “Io gli ho risposto che avrebbe potuto anche farlo, ma da uomo sposato avrebbe potuto anche avere la possibilità di mettere al mondo dei figli, una possibilità che gli sarebbe stata negata se si fosse davvero buttato dalla finestra. Lui non si è buttato dalla finestra e sono nate le nostre due figlie. Di fronte alla sofferenza siamo tutti deboli e abbiamo bisogno di essere sostenuti. Mio marito, pur sapendo che non avrebbe mai visto crescere le proprie figlie, ha scelto ugualmente di non farla finita e oggi ci sono due persone di 17 e 16 anni che non ci sarebbero se avesse compiuto quel gesto estremo”. C’è un motivo per vivere fino alla fine: la certezza di essere amati e di amare.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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