VITE DEI SANTI
Liceali parlano di Don Enrico Smaldone: vita spesa per orfani e ragazzi abbandonati
di Elisabetta Cafaro
I giovani del Liceo “Don Carlo La Mura” hanno ricordato la cara figura di don Enrico, nell’anniversario della sua nascita, 22 novembre 1914, nella piazzetta del paese, accanto alla sua statua, chiedendo come dono per la sua intercessione la pace nel mondo. Queste richieste poi sono state poste su due alberi di Natale.
I giovani hanno davvero tanto bisogno di testimoni di fede, speranza e carità, di uomini che con piccoli gesti d’amore hanno saputo e sanno costruire la “Città di Dio”. Don Enrico Smaldone è stato uno di questi. Un uomo pratico, capace di portare un messaggio di pace in un’epoca di guerra e di dolore. Un uomo simbolo di mani materne e paterne con il desiderio nel cuore di offrire ai ragazzi abbandonati e orfani della guerra spazi di sana aggregazione e di spiritualità. L’ingenuità di chi sogna, ma anche di chi sa con certezza che quel sogno è il sogno di Dio che si fa spazio nel cuore e a Dio non si può dire di “no”, anche se sembra chiederci l’impossibile, perché tutto è possibile a Dio. Nasce così in un piccolo paesino del salernitano, Angri, la più grande opera di carità del dopoguerra: “La Città dei ragazzi”.
I nostri giovani del Liceo “Don Carlo La Mura” hanno ricordato la cara figura di don Enrico, nell’anniversario della sua nascita, 22 novembre 1914, nella piazzetta del paese, accanto alla sua statua, chiedendo come dono per la sua intercessione la pace nel mondo. Queste richieste poi sono state poste su due alberi di Natale.
Da Angri i nostri giovani, lanciano un messaggio al mondo, affinché ritrovi i principi di umanità nella propria coscienza, non uno slogan che rassicura o vuole sedurre, ma la verità che corrisponde alla volontà di Dio che sta per nascere ancora una volta per portare in un mondo senza amore la sua luce di speranza.
Scrive Valerio:
“Dal risolvere semplici dispute tra amici al risolvere conflitti di portata mondiale, la pace è uno strumento indispensabile per la convivenza con gli altri e con sé stessi (basti pensare ad espressioni quali “fare pace” o “mettersi l’anima in pace”). La mia definizione di pace si basa sui rapporti con gli altri, su come una persona agisce col “prossimo”, cioè la prossima persona che riceverà l’insegnamento di Dio, del quale dovremmo tutti essere portatori.
Portare pace viene inteso con i verbi “appacificare” o “riappacificare”, per intendere il portare pace a chi ne ha bisogno, perciò fungere, in un certo senso, da mediatori tra l’insegnamento di Dio e i suoi destinatari: Dio ci consegna il suo messaggio (quello di portare pace al prossimo) e noi, da bravi cristiani quali siamo, abbiamo il compito di trasferirlo di cuore in cuore, di persona in persona.
Tra gli esempi di portatori di pace troviamo una figura per noi emblematica: il Servo di Dio Don Enrico Smaldone (Angri, Salerno 22 Novembre 1914 – 29 Gennaio 1967), fondatore di quella che oggi noi conosciamo con il nome di “Città dei ragazzi”, un luogo dedicato ai ragazzi che lui stesso definiva “figli della guerra” (senza acqua, cibo, vestiti, una casa o dei genitori che li guidassero), a causa del periodo difficile che l’Italia stava attraversando (la Seconda Guerra mondiale).
Con la fondazione della “Città dei ragazzi” (la più importante tra le sue innumerevoli opere di carità), Don Enrico dimostra di voler portare pace interiore a questi ragazzi funestati da innumerevoli sfortune, facendo sì che convivessero in un ambiente sano e che vivessero da ragazzi quali erano (imparando, giocando, riposando…) e non da semplici oggetti lasciati a perire per le strade.
Tuttavia, non sono solo queste le opere che possiamo compiere per portare pace a qualcuno: si può iniziare da qualcosa di semplice, come essere gentili con gli altri, non offendere mai nessuno (proprio per non rompere la pace che si crea), imparando anche a non essere invidiosi degli altri, perché ogni gesto di affetto verso qualcuno porta pace al loro animo e al loro cuore, diffondendo il messaggio Dio in esso. Perciò non vuol dire che si può portare pace solo attraverso opere di carità importanti, come quelle di Don Enrico, ma anche attraverso i piccoli gesti di affetto che compiamo ogni giorno (abbracciare qualcuno, rallegrare quella persona, amare il prossimo…), poiché dobbiamo tutti imparare a convivere (vivere con gli altri, in armonia) e non a vivere, e la pace è l’unico strumento con la quale possiamo diffondere questo messaggio.
La pace è saper convivere, non vivere
Rosato Gerardo Valerio 2Ac
Scrive Paola:
“Che cos’è la pace? In che modo si può̀ raggiungere? In questo periodo turbolento e destabilizzante caratterizzato da innumerevoli guerre, molti di noi si sono posti inconsciamente queste domande apparentemente banali. Possiamo dire che la storia umana è caratterizzata solo da brevi periodi di pace e che le guerre siano sempre state, nel passato, il mezzo preferito per risolvere le controversie. La Pace è un concetto semplice ma al contempo complesso perché́ richiede un impegno immane per stravolgere le cose.
La Pace non può̀ essere solo un sogno, un’utopia, ma essa deve essere una meta a cui non possiamo rinunciare. Pace non è solo che le guerre finiscano, è saper costruire una grande alleanza di popoli, pur nelle diversità̀ di religione, di costumi, e di credo politico. Essa deve essere mantenuta sempre viva e produttiva nelle opere dell’uomo, perché́ in essa alberga l’ultima speranza che l’umanità̀ ha di sopravvivere. Può̀ sembrare retorica, ma La Pace è davvero il bene più̀ prezioso, tutto può̀ crescere nella pace, la guerra invece, come affermava Sant’ Agostino: è negazione della vita.
La pace è un bene raggiungibile in terra e gli uomini retti possono servirsene come di uno strumento che permette una vita terrena migliore; essa è come il sole, come la pioggia, è tutto ciò̀ che aiuta a vivere. La guerra invece è il male peggiore che affligge la società̀ umana ed è fonte di distruzione, di sofferenze indicibili, di ogni corruzione morale, di ogni divisione e fonte di ingiustizia. Senza giustizia, e dunque senza pace, non si può agire: si è paralizzati, si è malati, non si può̀ sopravvivere. La pace, porta con sé l’amicizia al posto dell’inimicizia e dell’odio, il consenso al posto del dissenso, la concordia di idee e di valori contro la discordia, la convergenza al posto delle divergenze, l’armonia contro la dissoluzione.
Di pace se ne parlava già̀ 2500 anni fa, nel 421 a. C., in una commedia greca di Aristofane, anche allora, ad Atene, imperversava una guerra che il protagonista della nostra commedia, un contadino, Trigeò è determinato a fermare. Per fare ciò̀ si fa trasportare alla casa degli Dei a cavallo di uno scarabeo stercorario per cercare la più̀ nobile delle dee con il più̀ ignobile degli insetti. Arrivato alla casa degli Dei, scopre che quest’ultimi hanno traslocato, ormai disinteressati del destino degli uomini. Ermes, dio della Guerra, era l’unico rimasto, ed aveva imprigionato la Pace in una caverna. Trigeò con l’aiuto di altri uomini riesce a liberare la Pace e la riporta sulla TERRA.
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Oggi, però, nonostante, l’impresa titanica svolta da Trigeò, “La Pace” è ancora sepolta in una grotta e custodita dal terribile Dio della Guerra. In che modo si può raggiungerla, in che modo oggi, la si può̀ liberare? Ghandi, a questa domanda, avrebbe risposto, che la Pace la si può̀ raggiungere sono con la non violenza. Egli sosteneva: “Il genere umano può̀ liberarsi dalla violenza soltanto ricorrendo alla non- violenza. L’odio può̀ essere sconfitto soltanto con l’amore. Rispondendo all’odio con l’odio non si fa altro che accrescere la grandezza e la profondità̀ dell’odio stesso”.
Sappiamo quali sono le conseguenze della violenza. Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate, a immani sofferenze, a grandi quantità̀ di risorse sprecate perché destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può̀ portare alla morte di molti, se non addirittura di tutti… La pace può̀ essere raggiunta attraverso una combinazione di sforzi individuali e collettivi. Proprio come fece Trigeò. Una pace giusta non può̀ essere imposta con le armi; essa ha bisogno di consapevolezza, di conoscenza, di un dialogo dal basso, del saper ascoltare e non limitarsi a sentire, ha bisogno di Incentivare il dialogo aperto e costruttivo tra le diverse comunità̀ e nazioni. Soltanto una pace, basata su diritti, dignità̀ e libertà di ogni individuo, può̀ esser definita una pace veramente giusta e duratura. Io credo che la pace sia instabile laddove agli esseri umani è proibito esprimersi, è tolto il diritto di parlare liberamente o venerare il Dio prescelto, viene impedito di scegliersi i propri governanti, è instabile dove persistono le disuguaglianze. Raggiungere la pace è vero, è un processo molto complesso e richiede un impegno costante da parte di tutti gli individui e delle istituzioni. La collaborazione, la diplomazia e la cooperazione fra popoli sono fondamentali per creare un mondo più̀ pacifico. La pace giusta non deve essere un’utopia, ma un sano principio di realtà̀. L’umanità̀ è alla ricerca della “Pace” da 2500 anni ormai. Rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare.”
Paola Martinelli IV Al
Scrive Elena:
“L’esistenza umana si caratterizza per l’avvicendarsi di tanti momenti, di tante riflessioni, di tante emozioni, che viviamo nella nostra realtà quotidiana…
Premesso che essa è una realtà vissuta fin dalle prime creazioni di civiltà, mediante il fenomeno della guerra.
La quale per motivi di espansione territoriale o per difesa dalle oppressioni, veniva considerata come unico strumento nelle mani dell’uomo, per sopraffare il nemico e conquistare il potere, il dominio di un territorio. Il fenomeno guerra che negli anni si è evoluto con il ricorso agli armamenti e ancora di più, grazie all’uso della tecnologia e la scienza, basti pensare allo sviluppo della bomba atomica.
Ma dopo tutto questo ha trovato negli anni il suo modo di manifestarsi e seminare sangue, dolore, depravazione, ingiustizie alla fine del quale per dirla tutta né vinti e né vincitori; una sete di potere di supremazia che devasta l’anima e il cuore non solo di chi la viva in prima persona, ma anche noi che generazione del ventesimo secolo assistiamo e ascoltiamo fenomeni di tale ferocia: la guerra Ucraina –Russia e Palestina – Israele…
IL genere umano di fronte a tale sofferenza non è rimasto inerme nel tempo, in quanto si è costruito uno scenario nazionale, europeo ed internazionale, ovvero la nostra Carta Costituzionale, l’Unione Europea e l’ONU, fondati al solo scopo di garantire e favorire una cooperazione tra gli uomini, fondata su unico sentimento La PACE nel mondo.
Essa è una semplice parola, ma racchiude un profondo significato, volersi bene, amare sé stessi e il proprio prossimo, affinché ognuno possa vivere un contesto sereno, un ambiente protetto, un mondo sicuro, libero da sopraffazioni, dall’egoismo, dall’odio, semplicemente dai mille volti che il dolore può avere e generare.
Tale percorso di pace ha trovato nel tempo opera da parte di grandi figure: politiche, religiose, sociali che hanno lottato, che si sono adoperate in prima persona, basti ricordare: Martin Luther King, Ghandi, Madre Teresa di Calcutta, e se vogliamo ricordare qualche figura più vicina a noi basti pensare al prete della città dei ragazzi, come adorava definirsi: Don Enrico Smaldone, una figura di grande spessore umano, cattolico e religioso che ha eclissato la propria esistenza per aiutare il prossimo. Infatti, ce lo ricorda anche una sua bellissima frase prima di morire «Muoio sereno: non ho paura: la vita l’ho spesa per gli altri”.
Personalmente ritengo che questa frase debba diventare il motto della propria vita, della propria esistenza, dei propri sentimenti, in cui racchiudere il nostro essere umano, costruire la pace, la libertà, l’uguaglianza. Essa è il bene più profondo che Nostro Signore ci ha donato e affidato affinché tutti i popoli sappiano costruire sentimenti di fratellanza, di solidarietà e carità. Su una Terra il cui unico coloro rosso sia quello che esprime l’amore, il volersi bene, adoperarsi per i più bisognosi.
La nostra società e noi giovani stiamo vivendo un momento generazionale, alquanto particolare, in cui tutto e superficiale, veloce, fluido, tempestivo, frutto di una realtà in cui gli stessi principi di valore: civiltà, progresso, cultura sono divenuti un uso e getta, adoperabili come meglio si ritiene, a proprio piacimento… Una vera bulimia di sentimenti e concetti, dove si perde spesso il senso e la volontà divina di amarsi ed adoperarsi, al solo scopo di costruire un mondo di pace, in cui vivere in una melodia di dolcezze, con i colori dell’armonia e con le emozioni di un’anima pura e profonda, edificando la propria vita sul grande senso che essa racchiude”.
Elena Scarpato 2AC
Scrive Antonia:
“La Pace non è un concetto astratto, non è un’idea, è una conquista, a cui si arriva con determinazione, attraverso le singole scelte di ogni giorno, nel nostro quotidiano. Siamo in un periodo particolarmente difficile, tra due guerre, quella che con violenza lambisce i nostri confini, in Ucraina e quella che si sta consumando nella striscia di Gaza, nella tormentata Palestina. Al di là delle logiche che pongono a duro confronto questi popoli, deve prevalere la soluzione diplomatica e la Pace come unica soluzione, non la sopraffazione, non il prevalere di una ragione sull’altra ma un equo contemperamento di interessi, laddove sia possibile bisogna infatti porre in atto tutte le strategie diplomatiche possibili per far sì che, come in tutte le guerre non siano i civili, i bambini, gli anziani e le donne a risentirne. Migliaia di giovani sono già morti a causa dei giochi dei Potenti, che decidono le sorti a tavolino, senza rischiare nulla di proprio, tenendo le loro famiglie dei loro figli al sicuro in Bunker, ammesso che sia vita anche quella. La pace richiede coraggio, richiede volontà, sacrificio ed intelligenza. Essa non è “voler cedere” senza combattere, è essa stessa la vittoria di lotte intestine ed interiori, è la serena comparsa della consapevolezza che per uscirne “vivi” è necessario smettere di armarsi. Da qualche parte lo sguardo dei Giusti ci osserva e possiamo ben dire di avere di certo un amico tra quelli, il nostro caro Don Enrico Smaldone, a cui possiamo rivolgere il nostro pensiero, certi che resterà in ascolto. Don Enrico, ci direbbe di affidarci alla provvidenza di Dio, di pregare con fede perché gli egoismi, gli individualismi, la smania di potere cessi. Ci direbbe che solo Cristo può toccare i cuori e sa riconoscerne le potenzialità, e solo Lui sa aprirli a vita nuova. Certamente Don Enrico troverebbe, anche in queste circostanze, parole di Pace, una Pace che va “costruita” con il dialogo, “quello stesso dialogo che lui stesso sperimentava ogni giorno tra i ragazzi della Cittadella”. Certo, i conflitti sono spie di complesse dinamiche ed incomprensibili interessi materiali ed economici, posti da uomini senza scrupoli, prima della bellezza della vita stessa, ma Don Enrico avrebbe saputo venirne a capo, richiamando nello stesso modo e agli stessi valori, entrambe le parti in guerra, “con l’autorevolezza e la dolcezza di un padre” e addivenire ad un accordo, senza prima passare da un monito comune: la vita e la terra che ci ha donato Nostro Signore va rispettata e su tutto deve regnare la luce che solo la Pace sa donare, ad ogni cosa.”Antonia di Prisco III A
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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