ACCETTARE I NO

Gli ho detto: “Sei solo un amico”. E lui mi ha dimostrato che era un uomo vero…

Perchè alcuni uomini sanno accettare un “no” da una donna, mentre altri ne sono incapaci? Oggi vi raccontiamo di un uomo, respinto dalla ragazza di cui era innamorato. Amici da tempo, lui ha iniziato a provare qualcosa di più. Lei, però, non ricambiava. Come ha reagito lui? Scopritelo leggendo l’articolo. Premettiamo solo che è una storia bella, che ridona fiducia nell’uomo: ne abbiamo bisogno.

Una ragazza racconta: 

Ricordo bene la sofferenza di mio marito – quando ancora non eravamo fidanzati – per il mio “no”, per il mio rifiuto. “Ti vedo solo come un amico”, gli ho detto, dopo che si era dichiarato.  

Quando un uomo è innamorato di una donna questo fa male. Inutile negarlo, inutile nasconderlo. Però ricordo anche la sua grande dignità, la sua capacità di accettare che il rapporto non si evolvesse come da lui sperato, la sua nobiltà d’animo, che lo portava a pensare e a dirmi: “Con me o senza di me, basta che tu sia felice, perché sei una ragazza speciale, che merita il meglio”. 

Questo è amare sul serio. 

Ammetto che fu proprio vedere il suo grande cuore, la sua capacità di vedermi come un bene prezioso e la disponibilità a lasciarmi andare, senza pretendere nulla – a patto che fossi stata felice – a farmelo guardare con occhi diversi. 

Avevo davanti un uomo vero, quanto meno interessante, quanto meno da conoscere. 

Ed è così, cercando di capire cosa avesse dentro al cuore questo amico speciale – che mi ammirava non solo come possibile “bene per lui”, ma anzitutto come “creatura speciale” a prescindere da ciò che gli potevo offrire – che mi sono innamorata.

Lui si è innamorato della mia fede, una fede che gli mancava in quegli anni. Sentiva nostalgia di Dio, ma non sapeva da dove ricominciare il suo rapporto con il Signore. 

E io mi sono innamorata della sua libertà interiore, della sua onestà, di come riuscisse a voler bene senza pretendere nulla, di come sapesse starmi accanto senza toccarmi neppure con un dito (ci teneva a non rovinare la nostra amicizia), di come ringraziasse il Cielo per la mia esistenza, anche se forse non sarebbe mai stata unita alla sua (“è stato un dono poterti conoscere, un onore averti come amica”, mi diceva). 

Ogni giorno ringrazio Dio per avermi posto sulla strada una persona così. Sin da piccola i miei genitori mi avevano insegnato a pregare per trovare la mia vocazione, perché fosse Dio a mostrarmi con chi formare una famiglia, se questi fossero stati i suoi piani. E io pregavo, sì: pregavo di essere amata da un uomo “dell’amore di Gesù” e che potessi amare io, un uomo, come Cristo amava me.

La preghiera è stata esaudita. Quel timido ragazzo che era disposto a farmi spiccare il volo lontano da lui se fosse stato il mio vero bene, è il mio compagno di viaggio in questa vita da undici anni. Mi ha atteso a lungo, da amico. Mi ha atteso senza forzare nulla, proprio come sa fare Gesù. Mi ha accettata così come ero, mi ha rispettata, mi ha trattata come una gemma da custodire. Mi ha amata e mi ama ancora di una tenerezza che ricorda proprio la tenerezza di Dio. 

Che dolore è quindi per me vedere che non tutte le donne sono amate così. Che non a tutte è concessa la libertà di dire un “no”, che non tutte hanno ricevuto il rispetto che io ho ricevuto. Penso a Giulia Cecchettin e piango. Penso al suo papà, che, al contrario del mio, non l’ha potuta accompagnare all’altare radioso, ma ha dovuto riconoscere il corpo di sua figlia ritrovata in un canale, con il volto insanguinato, gettata lì da un ragazzo che l’ha disprezzata perché lei non accettava di essere sua nel modo in cui lui sperava. E penso anche a Filippo, al suo male di vivere, ai genitori di lui, che hanno scoperto dai giornali e da una telecamera che dava su un parcheggio un volto che non conoscevano di loro figlio. Che dolore! 

La cronaca di questi giorni è stata sotto agli occhi di tutti: la vicenda di Giulia e Filippo può essere considerata la prova che l’inferno esiste ed è pure qui, su questa terra.

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A entrambe le famiglie – e anche all’assassino – va assicurata la nostra preghiera: perché delle tenebre così fitte possono essere rischiarate solo dalla luce della Resurrezione e dal Risorto.

Al tempo stesso, però, siamo chiamati a chiederci: cosa possiamo fare di più? Perché ci sono uomini come quello di cui si parla nella testimonianza e uomini come Turetta, che arrivano persino ad uccidere, se perdono la persona che desiderano?

Leggevo un articolo sulla fatica di accettare un rifiuto. Si diceva:

“Accettare un rifiuto senza fare una piega è qualcosa che richiede una grande stima di sé stessi e molta forza interiore. Molti uomini, quando vedono rifiutate le loro avances, tendono a provare un senso di frustrazione che sfocia anche nella rabbia e nella tentazione di insultare chi hanno di fronte. Il motivo? Si sentono rifiutati non in quanto ‘pretendenti’, ma in quanto persone, come se questo ‘no’ togliesse loro ogni valore”

Ci sono persone che faticano molto a reagire anche al più piccolo dei “no”, necessitano di tanto tempo per riprendersi, e altre che riescono in tempi brevi a riprendersi. 

Dovremmo però riflettere su questo aspetto: come favorire la stima di una persona? Come aiutarla a scindere quel “no” – dato alla proposta di stare insieme – dal suo valore oggettivo come uomo, come donna? Sicuramente aiuta avere una relazione con Dio (lui suolo riempie fino in fono la nostra solitudine esistenziale!) delle amicizie (apritevi con una persona fidata e ascoltate i consigli saggi: non fate solo di testa vostra!), parlare con la famiglia, aprirsi nel sociale, offrire il proprio aiuto in attività benefiche (ad esempio il volontariato), impegnarsi nel lavoro, lasciarsi aiutare da uno specialista, farsi seguire da un direttore spirituale. E poi non dimenticare che il rifiuto può far male, tanto, tanto male, ma il dolore va attraversato, non negato. Ribellarsi non serve. Diamoci il diritto di stare male senza sentirci strani o sbagliati. Non fa bene fare finta di niente. Non fa bene tentare di eliminarlo senza viverlo. Il dolore va attraversato fino in fondo, nella certezza che nessuna croce è per sempre… e che solo se si accetta la sofferenza, prima o poi la luce arriverà e l’anima guarirà.




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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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