VITE DEI SANTI

San Giuseppe Moscati, medico: una volta prescrisse a un malato l’Eucaristia

A Giuseppe l’anima interessava più d’ogni altra cosa. Non c’è da stupirsi se un paziente, che lo aveva interpellato per capire di quale malattia soffrisse, si vide prescrivere su un foglio dal dottor Moscati la somministrazione dell’Eucarestia, con tanto di posologia: una volta al giorno per sette giorni. All’ottavo giorno il paziente era guarito…

San Giuseppe Moscati aveva la vocazione per i malati. Gli era venuta presto, perché niente capita per caso e a lui, ancora ragazzino, capitò un fratello con un trauma cranico. Giuseppe, infatti, aveva appena tredici anni quando Alberto Moscati, tenente d’artiglieria a Torino, venne congedato e dovette ritirarsi nella casa paterna a seguito di una grave caduta da cavallo: le crisi epilettiche a cui sarebbe stato soggetto fino alla morte, avvenuta poco più di dieci anni dopo, avrebbero richiesto assistenza continua da parte dei familiari. Un’assistenza a cui il fratello minore si sarebbe dedicato con amore autentico, e in cui il suo sguardo fine si sarebbe allenato a cercare la guarigione oltre la malattia in direzione della cura dello spirito.

A Giuseppe l’anima interessava più d’ogni altra cosa, pertanto non c’è da stupirsi se un paziente che lo aveva interpellato per capire di quale malattia soffrisse s’era visto prescrivere su un foglio dal dottor Moscati la somministrazione dell’Eucarestia, con tanto di posologia: una volta al giorno per sette giorni. All’ottavo giorno il paziente era guarito. Per questo medico prestigioso le carenze organiche non erano più allarmanti dell’allontanamento da Dio.

A questo punto qualcuno potrebbe ipotizzare, non conoscendolo per bene, che Giuseppe Moscati fosse un soggetto strambo, un “professionista alternativo”, per il fatto che andava a messa tutti i giorni, che fosse devotissimo alla Madonna e avesse scelto la castità sin da ragazzo come condizione migliore per il suo progetto di vita.

In realtà la stramberia non c’entra nulla e basterebbe approfondire appena un poco il suo percorso professionale per scoprire che in realtà il dottor Moscati era un luminare della scienza stimatissimo niente meno che dal sommo clinico Antonio Cardarelli, ma non solo. 

Non ancora trentenne, già primeggiava in qualsiasi campo medico si cimentasse, dalla biologia dei laboratori alla clinica a bordo dei letti ospedalieri, estendendo in seguito le sue abilità anche all’anatomia patologica (celebri le sue ricognizioni cadaveriche universitarie dove circondato da folle di studenti esaminava il corpo defunto con rispetto sacro, tra citazioni bibliche, nel silenzio assoluto generale). 

Leggi anche: Due liceali ci parlano dei santi: oggi raccontano la storia di Armida Barelli (puntofamiglia.net)

Era un docente affermato, a qualsiasi concorso di cattedra andasse sbaragliava i suoi concorrenti grazie a una preparazione che sconvolgeva tutti. Era un medico di corsia e un primario di fama imponente per la lungimiranza dei suoi studi e delle sue terapie (fu tra i primi in Italia a dare fiducia nel 1922 ad una cura all’epoca rivoluzionaria per i pazienti diabetici, ovvero l’insulina), capace di analisi sempre puntuali in un’epoca in cui non esistevano tac né risonanze magnetiche. Spesso raggiungeva diagnosi esatte in divergenza rispetto al parere di altri luminari, come per il caso del celebre tenore Caruso: visitandolo a Sorrento nel 1921, il medico santo seppe diagnosticargli un ascesso sottodiaframmatico che nessuno fino a quel momento aveva saputo individuare, e che fu confermato dall’aspirazione di liquido purulento proprio nella sede predetta, ma purtroppo il cantante era arrivato a consultare Moscati quando la malattia era già avanzata.

Considerando la sua fama e la sua bravura, non stupisce che il lavoro impegnasse Giuseppe totalmente, in un crescendo di prestazioni e visite dentro e fuori dall’ospedale, fin nei vicoli della Napoli povera, dove si spingeva personalmente e a cadenza regolare per andare a portare il latte a chi non poteva permetterselo. Ad altri pazienti altrettanto indigenti passava direttamente il necessario per comprare cibo e medicine, senza chiedere affatto denaro per le sue prestazioni mediche. Fuori dal suo studio, quello dove riceveva e visitava i pazienti a casa, era poggiato un cestino con sopra la scritta “chi può metta qualcosa, chi ha bisogno prenda”.

La sua vita si consumò insieme al suo cuore così, per i sofferenti, fino al pomeriggio in cui si lasciò scivolare sulla poltrona dello studio dopo aver congedato l’ultimo paziente. Aveva solo quarantasette anni, tutti spesi benissimo per amore al prossimo e a Dio.La bellezza di questa figura di medico fedele alla scienza tanto quanto al cielo, dedito anima e corpo alla vocazione della cura corporale e spirituale del malato, oggi più che mai lascia storditi. In un’epoca in cui restiamo confusi sul miglior interesse del paziente e cediamo alla lusinga della morte come terapia definitiva per allontanare il dolore, abbiamo bisogno dell’esempio di un medico come Giuseppe Moscati. Prima che santo, un uomo, capace di assecondare il bisogno di servire i sofferenti con ogni mezzo, alleviandone le pene del corpo, e rispettandoli sommamente come immagine di Gesù in terra, un Dio fatto uomo di cui Giuseppe non era altro che innamorato folle.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



Lisa Zuccarini

Lisa Zuccarini, classe '83, è una moglie e mamma che ha studiato medicina per poi capire alla fine di essere fatta per la parannanza più che per il camice. Vive col marito e i loro due bambini. Dal 2021 ha scoperto che scrivere le piace, al punto da pubblicare un libro edito da Berica Editrice, "Doc a chi?!", dove racconta la sua vita temeraria di mamma h24 e spiega che dire sì alla vocazione alla famiglia nel ventunesimo secolo si può, ed è anche molto bello.

ANNUNCIO


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.