Nella top ten dei miei santi preferiti c’è certamente anche Giuseppe Moscati. Non per evidente campanilismo ma perché ritengo questa figura di medico e consacrato una delle più eccelse nella testimonianza del nostro Novecento. In lui scienza e fede si uniscono in modo così sublime da restare incantati dalla intensità e dal modo in cui ha vissuto la sua professione. Nessuno che si sia rivolto a lui per avere un aiuto in determinate circostanze di malattia fisica o interiore è mai rimasto deluso.
Giuseppe, figlio di un magistrato e di una donna cattolica molto credente, era il settimo di nove figli. Ricevette dalla sua famiglia un’educazione cristiana ed umana molto forte. Dopo gli studi classici liceali, volle iscriversi a Medicina contro il parere del padre che desiderava per lui la carriera di avvocato per rispettare la tradizione familiare. Ma Giuseppe dalla finestra della sua casa osservava l’ospedale degli Incurabili dove erano ricoverati i malati considerati senza speranza. “Da ragazzo guardavo con interesse all’Ospedale degli Incurabili, che mio padre mi additava lontano dalla terrazza di casa, ispirandomi sentimenti di pietà per il dolore senza nome, lenito in quelle mura. Un salutare smarrimento mi prendeva e cominciavo a pensare alla caducità di tutte le cose e le illusioni passavano come cadevano i fiori degli aranceti, che mi circondavano” scriverà in seguito al presidente dell’Ospedale degli Incurabili.
Poi vi fu anche un altro episodio che lo convinse che la sua strada era quella di diventare medico. Il fratello più grande Alberto, si infortunò dopo una caduta da cavallo e diventò epilettico. Giuseppe si prese cura con amore di questo fratello comprendendo che la cura più importante era l’amore. Dopo essersi laureato a pieni voti, si presentò ai concorsi per entrare come medico proprio all’Ospedale degli Incurabili.
Da allora si distinse per le sue doti che manifestò particolarmente durante l’eruzione del Vesuvio dell’8 aprile 1906 e nell’epidemia di colera del 1911. Quando il fratello Alberto e i genitori morirono, andò a vivere con la sorella Nina, a pochi passi dalla chiesa del Gesù Nuovo di Napoli, dove partecipava quotidianamente a Messa e recitava il Rosario con la sorella.
Scelse di rimanere celibe. Una scelta decisamente controcorrente in un’epoca in cui le vocazioni erano nettamente divise in matrimonio o vita religiosa ma che gli diede la possibilità di “amare Dio senza misura nell’amore, senza misura nel dolore” come lui stesso identificava sia la sua missione di medico cristiano, sia lo sguardo con cui osservava i malati.
Era esemplare anche nella professione, avendo scelto la povertà. Tanti i racconti dei pazienti che si videro restituire indietro la somma con cui l’avevano pagato, anche se ne aveva diritto essendo venuto da lontano. Un suo collega dirà di lui: “Solendo vedere negli ammalati la dolorosa figura di Cristo, non voleva ricevere denaro e di ogni offerta soffriva in maniera visibile. Se visitava dei ricchi o dei benestanti accettava il denaro, ma davanti a sé ed a Dio la sua preoccupazione restava sempre quella di non essere un approfittatore”. Colpisce l’integrità di quest’uomo, la sua fede ferrea e la sua devozione alla professione.
Meravigliosa una preghiera che egli stesso compose nel 1922 dopo aver scelto di donarsi totalmente a Dio facendo voto di castità nella Chiesa delle Sacramentine: “Mio Gesù, amore! Il vostro amore mi rende sublime, il vostro amore mi santifica! Mi volge non verso una sola creatura, ma a tutte le creature, all’infinita bellezza di tutti gli esseri, creati a vostra immagine e somiglianza”.
In san Giuseppe Moscati è l’amore di Dio che alimenta e sostiene l’amore al prossimo. Lui era un uomo innamorato di Dio. I santi non sono stati degli operatori sociali per quanto molti hanno contribuito e contribuiscono a risollevare i più poveri e i più disagiati e abbandonati del mondo. I santi hanno dato a Dio il posto di onore nel loro cuore e nella loro vita e questo ha permesso loro di risplendere nella carità.
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