Aiutiamo i ragazzi a sviluppare l’empatia. Riflettendo sui recenti fatti di cronaca

25 Luglio 2023

tristezza

I giovani sanno cosa sia l’empatia? Sono capaci di chiedere scusa per i loro errori? Stanno sviluppando in modo sano la loro affettività? Come si approcciano alla sessualità? Sono solo alcune delle domande che mi pongo come docente. Vorrei riflettere con voi su possibili strade da percorrere per aiutare i ragazzi a crescere…

di Piero Del Bene

I gravi fatti dell’ultimo anno, anche più frequenti, negli ultimi mesi e, impietosamente, riportati dalla cronaca che, per certi versi, è persino grata allo squallore quotidiano che “è costretta” a raccontare, ci pongono di fronte a molte questioni che, necessariamente, gravitano vorticosamente intorno alla cattedra. E dalla cattedra li osservo. Giovani che uccidono altri giovani, ragazzi che attaccano docenti, generazioni giovanili che tentano di sovvertire l’ordine sociale, come è successo in Francia, violenze gratuite scatenate da futili motivi, incapacità di gestire rabbia e frustrazione. Ma anche, semplicemente, ormai è il caso di dirlo perché la gravità di altri fatti li pone in secondo ordine, i sempre più numerosi casi di bullismo e cyber-bullismo che ci troviamo ad affrontare nelle nostre aule, dove, sì, facciamo prevenzione, ma, ahimè, in maniera poco incisiva, perché sono altri i canali che incidono nella formazione dei nostri giovani: tutti questi fenomeni ci trovano stupiti. 

O almeno sembra così, se stiamo al racconto dei media. Chi ha a che fare con i giovani, infatti, non è affatto stupito. Per carità, la maggioranza dei ragazzi è ancora sana, ma sono sempre più numerosi i casi di devianze, diciamo così. I media danno voce ad un certo stupore che probabilmente avvertono solo loro e che serve ad attirare l’attenzione, a fare audience. Qualche mese fa, rivolgendo una domanda ad un’esperta, ebbi a dire che tra le generazioni adulte e quelle giovanili si nota un certo iato. Fui evidentemente troppo leggero. Tra i giovani d’oggi e noi “boomer”, come ci chiamano non senza un certo disprezzo, c’è un abisso che è difficilissimo da superare. 

Tuttavia, tale gap non è incolmabile. Si tratta di cambiare strategia e integrare nuovi obiettivi, aggiungendoli a quelli che già cerchiamo di perseguire. In tutta Italia, ma diciamo pure in tutto l’Occidente, si cerca di “incontrare” questi giovani su terreni neutri. Ha fatto scalpore, per esempio, l’intervista comparsa su Orizzonte scuola, alla Dirigente Scolastica di un istituto superiore di Policoro, in Basilicata, nella quale veniva raccontato di un progetto extracurricolare proposto da alcuni anni nel suo istituto, volto alla maturazione integrale della persona e all’integrazione dei livelli che compongono la personalità: non la solita educazione sessuale, ma una vera e propria educazione affettività. Il percorso ha lo scopo di consegnare ai ragazzi gli strumenti per vivere in modo libero e responsabile un’esperienza matura della sessualità

Il punto di partenza è la consapevolezza che tra i giovani d’oggi si riscontrano grandi capacità cognitive ma un sostanziale analfabetismo affettivo accentuato anche dall’uso degli smartphone. Quest’ultima considerazione è avvalorata anche da ricerche che giungono da oltre-oceano, dove diversi studi sembrano confermare l’influenza negativa del mondo digitale parallelo in cui sono immersi i giovani. La Dirigente racconta di come i partecipanti al suo percorso abbiano, innanzitutto, ritrovato un giusto rapporto col proprio corpo e quello degli altri. L’obiettivo è la formazione di una coscienza non individualista, ma personale. I cultori dell’etimologia sanno che la parola persona ha, nella propria origine, un’accezione relazionale, rimanda ad una comunità. L’esatto contrario dell’individualismo nel quale siamo immersi. 

L’esperienza non è così isolata come potrebbe sembrare. Se fino a qualche mese fa si cominciava a parlare negli ambienti didattici di softskills, competenze relazionali, oggi ci si concentra su un concetto che sembra sempre più raro: l’empatia. Essa nasce dall’ascolto, altra grande attitudine non molto presente nelle nostre scuole. 

Leggi anche: Puoi essere un eroe a scuola? Sì, se l’eroismo è fare bene il proprio lavoro (puntofamiglia.net)

Col collegio dei docenti a cui appartengo usciamo da uno di questi corsi resosi necessario a causa delle sempre maggiori difficoltà comunicative che incontriamo a scuola con i ragazzi, con i colleghi e con le famiglie. Il formatore ci ricordava che, di solito, chi più ha bisogno di tali competenze, meno partecipa a questi corsi perché la prima difficoltà sta nel riconoscersi lacune in tale ambito. Non ha torto. 

Ci riteniamo tutti sufficientemente capaci di gestire relazioni, ma è ancora così? E allora che possiamo fare a scuola? Cambiamo argomenti? Cambiamo “programmi”? Più volte ci siamo posti la domanda. Ora più che mai, la prima cosa da fare a scuola (a casa, sul lavoro, in piazza…) è imparare ad ascoltarsi e a mettersi nei panni di uno studente che mostra segnali di turbamento. È necessario saper cogliere i segnali non verbali degli interlocutori, studenti ma anche dei colleghi o delle famiglie. Bisognerebbe spiegare con assoluta chiarezza che l’empatia consiste nel comprendere e prendersi cura dei sentimenti di un’altra persona

Una delle evidenze maggiori che traggo dall’anno scolastico appena terminato è l’aver toccato la grande sofferenza che si procurano i miei alunni nei loro rapporti. Nascondono tutto in un grande “stavo scherzando” e forse veramente lo credono. Soffrono molto a causa di queste intemperanze relazionali e non sanno nemmeno leggersi dentro tale sofferenza. 

Una ragazza, mentre discutevamo del nomignolo che gli altri le avevano affibbiato, ha confessato che la prima cosa che farà, appena maggiorenne, è cambiarsi una parte del corpo. Ha capito, solo mentre lo raccontava, quanta sofferenza le provocasse tale nomignolo. Ha deciso, in quell’esatto momento, di non etichettare più con nomignoli offensivi i compagni, alcuni dei quali, ma non tutti, si sono scusati. Ecco l’altra grande difficoltà: non riescono a chiedere scusa agli altri, adulti e coetanei. Alcuni di loro mi hanno detto che è da deboli scusarsi. Ecco lo stato dell’arte. 

Per non parlare dell’incapacità di gestire la rabbia e la frustrazione: i media lo imparano in questi giorni, in classe lo osserviamo da anni. Una considerazione finale, ma il discorso sarebbe ancora lungo da sviluppare, riguarda le “materie”. Sempre più frequente è la domanda che risuona: a che servono? Dal mio punto di vista, giorno dopo giorno, mese dopo mese, diventano sempre di più la scusa per riflettere su sé stessi e sul gruppo di appartenenza. Sono da considerare un punto di vista sul mondo e su sé stessi. Quando parlo di Pitagora e del suo teorema, per esempio, mi sforzo di renderlo personale, incastonandolo in una storia di persone, la scuola Pitagorica, per esempio, oppure inserendolo in un’immaginaria vita dell’autore. Tale lavoro è sicuramente più semplice per i docenti di lettere, arte, musica, filosofia. È addirittura naturale per i docenti di I.R.C. che, secondo me, andrebbe resa obbligatoria per tutti proprio per questa vocazione a riflettere su sé stessi e sui valori che ci tengono insieme.




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Piero Del Bene

Sposo, padre, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Catechista e formatore. Dopo la laurea in Matematica ha conseguito il Master in scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Con la moglie Assunta si occupano di Pastorale Familiare.

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