13 Luglio 2023
“Dedica del tempo a te stesso e saprai donare anche tempo agli altri”, ma è davvero così?
Gli anni si aggiungono al cammino della fede ma più avanzo e più mi accorgo che dobbiamo vigilare e soprattutto essere attenti a non trasformare i consigli della vita spirituale in massime psicologiche. In poche parole, a non adattare la fede alla mentalità di questo mondo. Ascolto spesso che alcuni attribuiscono un principio della psicologia alla vita spirituale: “Dedica del tempo a te stesso e saprai donare anche tempo agli altri” o ancora “Prenditi del tempo per stare con Dio in silenzio senza farti fagocitare dalle cose da fare”. È senza dubbio un ottimo criterio, il tentatore fa di tutto per allontanarci dalla preghiera, dalla relazione con Dio, dal tempo che trascorriamo ad ascoltare e a meditare la sua Parola, tuttavia, anche questa indicazione può contenere delle pericolose derive narcisiste.
Negli anni del mio cammino di fede sperimento sempre di più la fatica di restare in ascolto e di obbedire. Ma nello stesso tempo sperimento la necessità, quanto più gli impegni e le responsabilità crescono di avere nelle mie giornate tempi e spazi per stare alla presenza di Dio. Chi dice che “ho avuto tante cose da fare senza aver avuto tempo per andare a Messa o fermarmi per il Rosario o di preparare il cibo spirituale per i fratelli” non ha ancora compreso le priorità della sua vita interiore. Quando si diventa genitori, o si diventa parroci o si assumono responsabilità nei confronti dei più piccoli nella fede, come pensare di vivere questi ministeri senza la grazia che viene da Dio? Senza chiedere ogni giorno a Lui la luce? Senza restare umilmente in ginocchio prima di salire su un pulpito o mettersi dietro ad un computer? Il problema non è togliere qualcosa per dare a Dio ma aggiungere la preghiera per dare agli altri. Se la mia giornata è piena di impegni allora mi alzerò un’ora prima per pregare o lo farò di notte…ma non posso esimermi dai miei compiti essenziali. Una madre non chiede di fare sciopero dalla cucina, magari preparerà il pranzo pregando il Rosario.
La seconda subdola tentazione del criterio “dedica del tempo a te stesso” è quella che ci fa credere che la preghiera sia consolatoria e autogenerante. Molti dicono: “mi mette pace nel cuore”. Beati loro! Io quando prego mi sento pungere il cuore come con centinaia di spilli ma non perché il Dio severo mi redarguisce dai miei pensieri e dalle mie azioni ma perché Lui mi mette nel cuore un’ansia, una fretta, desideri grandi, immensi per le mie povere forze. Eppure Lui chiama proprio me. Ogni volta che prego rifaccio l’esperienza di quando ho stretto tra le mie braccia per la prima volta mio figlio, quel bambino affidato totalmente alle mie cure, carne della mia carne, sangue delle mie viscere, mi è stato donato, affidato non per me ma perché lo conducessi a Dio. Ogni nostra azione, sia che scriviamo sia che parliamo, sia che puliamo sia che ammaestriamo… deve condurre a Lui. E nella preghiera ci vengono suggerite i silenzi, le parole, le azioni.
In questi giorni abbiamo ricordato i santi Zelia Guerin e Luigi Martin, sposi. Zelia non aveva molto tempo per meditare: nove figli, un’azienda da portare avanti, i suoi poveri… eppure la tempra spirituale di questa donna fa impallidire i grandi mistici di ogni tempo. Dall’Eucaristia vissuta al mattino lei conservava per tutta la giornata il suo cuore davanti a Dio come in adorazione. E riusciva a fare tutto, dal lavoro all’accudimento della casa e delle figlie, perfino a scrivere le sue lettere, per noi un dono inestimabile della sua fede così bella e così femminile. Lo spazio della preghiera quanto più è intenso tanto più ci conduce agli altri, a lavorare per il Regno, ad annunciare la sua Parola. Non è una seduta di relax. La fede è un dono non un tempo, un dono da custodire e vivere.
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