4 Luglio 2023
Piergiorgio Frassati, l’amico dei poveri che andava a Messa tutti i giorni
Alto, forte, pieno di vita, sempre gioioso e sorridente. Ecco chi era Pier Giorgio Frassati. Una famiglia economicamente importante alle spalle ma precaria sull’affettività e sempre sull’orlo di una crisi coniugale ma che Pier Giorgio amava molto, fino al punto da rinunciare anche alla donna di cui era innamorato perché probabilmente non sarebbe stata ben accolta da quel padre, Alfredo, così quadrato e tenace, diventato senatore e ambasciatore d’Italia in Germania e fondatore della Stampa di Torino e dalla madre Adelaide, pittrice, di una fede molto formale, fatta di pratiche da rispettare a scadenza.
Il 6 aprile del 1901 è Sabato Santo e le campane, come era usanza a quel tempo, suonano il “Gloria” della Risurrezione. C’è aria di festa in casa Frassati, il primogenito Pier Giorgio viene alla luce e i suoi primi vagiti si confondono con l’alleluia pasquale. Cresce robusto, bruno, dalla pelle scura e dal carattere aperto e allegro. Ma soprattutto fin da piccolo Pier Giorgio rivela il suo cuore buono e generoso. Un giorno nell’asilo di Pollone durante il pranzo, nota un bambino appartato rispetto agli altri perché aveva un brutto sfogo della pelle. Pier Giorgio subito gli si avvicina e prendendogli il cucchiaio di mano, “uno a te e uno a me”, divide il pranzo con quel nuovo amichetto, tutto felice di essere stato compreso. Un’altra volta una giovane donna bussa alla porta di casa con in braccio un bambino scalzo. Prontamente Pier Giorgio toglie all’istante calze e scarpe e le dà alla donna. Poi chiude in fretta la porta e scappa via. La carità e l’amore per i più deboli si imprime nel suo cuore fin dalla tenera età e non lo lascerà mai più.
Il giorno della sua Prima Comunione, don Cojazzi, il suo precettore gli regala la biografia di Cristoforo Colombo, sul quale gli scrive una dedica particolare: “…sii tu pure, come lui, portatore di Cristo nella tua vita”. Questo libro che custodirà gelosamente diventa il suo programma di vita e tra le strade di Torino, sui monti, in mezzo ai giovani studenti e lavoratori, Piergiorgio è stato un intrepido Cristofaro.
A scuola non è un grande studente, cosicché quando è respinto in latino, i genitori lo mandano a frequentare il terzo ginnasio presso l’Istituto sociale dei padri gesuiti. Qui Pier Giorgio incontra un ambiente adatto per crescere nella fede. Comincia ad avere un padre spirituale e si fa strada il desiderio di ricevere la Comunione quotidianamente. Ha tredici anni, la mamma non riesce a convincersi della bontà di questa decisione e nega il suo consenso. Così Pier Giorgio inizia una vera e propria battaglia durata quattro giorni con la mamma per convincerla del suo proposito e alla fine la spunta. Da quel momento non manca mai all’appuntamento con Gesù Eucaristia, anche a costo di grandi sacrifici e con molte ore di digiuno. In seguito, dirà: “Cristo viene in me ogni giorno. Io gli restituisco la visita, andando a servire i poveri”.
I genitori non capiscono più quel figlio che cresce così diverso da come lo desideravano. La preghiera ritma le sue giornate, in modo particolare quella del Rosario. Lo recita anche più volte al giorno, al mattino, per strada, a sera, in treno, tra le sue montagne. La mamma è molto preoccupata che volesse farsi prete e manda molti amici a dissuaderlo da questa intenzione. Ha 17 anni. Piergiorgio si pone il problema della vocazione ma aspetta e prega. Di una cosa è certo: vuole donare la sua vita a Cristo.
Intanto la guerra finisce e Pier Giorgio si iscrive al Politecnico di Torino, facoltà di Ingegneria. La sua scelta universitaria rispecchia il suo progetto di vita: vuole diventare ingegnere minerario per essere più vicino ai più umili lavoratori, a quelli che soffrivano di più. Anche in questo contesto, Pier Giorgio è deciso, afferma la sua fede e il suo desiderio di essere dalla parte dei poveri e dei deboli. Un suo amico ricorda: “Quando arrivava Frassati al Politecnico, a me faceva l’impressione di una valanga di vita che quasi mi spaventava”.
Sì, Pier Giorgio è stato un giovane “libero e forte” per dirla con don Sturzo che proprio in quegli anni dà vita ai gruppi e circoli di cattolici militanti. Un giovane che non ha paura di manifestare la sua fede in ogni ambito della sua vita. Senza risparmiarsi. La ricchezza e l’agiatezza dell’ambiente familiare in cui vive non lo dissuade dalle sue intenzioni. Anzi. Piuttosto lo rafforza nella convinzione che chi ha molto, molto deve donare.
I suoi amici preferiti sono i poveri. Dopo essere entrato nella Compagnia di san Vincenzo crea una fitta rete di opere di carità. D’estate quando tutti raggiungevano il mare o le montagne, Pier Giorgio non si muove da Torino o vi torna al più presto con la scusa di far compagnia al papà, in realtà per aiutare i suoi poveri perché non restassero soli e non mancasse loro il necessario. Il suo portafogli non è mai pieno. Per farlo entrare in un bar i suoi amici devono penare molto. Egli ha sempre nel cuore e nella mente i bambini, i malati senza cure e i poveri senza il necessario.
Ai poveri però non portava solo l’aiuto materiale ma la luce del Vangelo. Insieme ai buoni per il pane, lascia un piccolo Vangelo, il Messalino o l’Imitazione di Cristo.
Scalare le montagne è il suo sport preferito. Le gite sui monti che organizza con un gruppo di amici, che si definivano “I Tipi Loschi”, sono i momenti ideali per annunciare loro la bellezza di essere cristiani. Non perde occasione per portarli a Messa, all’Adorazione eucaristica, esortandoli alla lettura del Vangelo o invitandoli a recitare con lui il Rosario a sera nelle baite, in ginocchio sul freddo pavimento.
La preghiera di adorazione eucaristica è la sua preferita. Dal 1919 è iscritto nella lista degli adoratori notturni. Di buon mattino, mentre le tenebre avvolgono ancora la città, si reca davanti all’Ostensorio, in ginocchio, prostrato per lungo tempo in preghiera per adorare Gesù e consegnargli tutte le sue intenzioni. Al mattino poi partecipa a Messa, riceve la Comunione e si ferma per un’ora a ringraziare il Signore per quel dono immenso. Solo dopo fa colazione e comincia a combattere la buona battaglia del Vangelo.
Sono gli anni in cui Pier Giorgio decide di non diventare sacerdote o religioso, preferendo dare testimonianza del Vangelo come laico. Gli amici ricordano che diceva: “Vivere senza fede, senza una eredità da difendere, senza combattere costantemente per la verità, non è vivere ma ‘vivacchiare’; non dobbiamo mai solo ‘vivacchiare’”.
Arriva la fine di giugno del 1925, in casa tutti sono preoccupati della nonna sempre più grave e vicino alla fine. Pier Giorgio è pallido, molti amici notano in quel ragazzone forte e robusto qualcosa che non va ma lui nasconde tutto in silenzio. Il 1 luglio una febbre alta gli impedisce di alzarsi dal letto, nessuno si preoccupa di lui. Il medico che viene a visitare la nonna parla di reumatismi in Pier Giorgio. La notte di quello stesso giorno la nonna muore, tutti pensano ai suoi funerali e nessuno si accorge che il giovane e forte Pier Giorgio è in agonia. Il 3 luglio la mamma lo assiste, chiama il medico che finalmente comprende la diagnosi: poliomielite fulminante.
Pier Giorgio si era contagiato in una delle tante visite ai poveri nelle soffitte di Torino. La mamma presa dalla disperazione vuole che il figlio si comunichi. Lui non vuole, ha da poco preso un po’ di latte ma la mamma insiste e alla fine acconsente. Arriva il sacerdote. Pier Giorgio fa la sua ultima confessione e si comunica. Le sue preoccupazioni sono quel giorno per i suoi poveri e per i suoi genitori. Tutti sono atterriti. Il padre piange disperato e continua a chiamarlo come a trattenerlo. Ma il tempo sulla terra è concluso. All’alba del 4 luglio 1925, Piergiorgio con il volto rigato da grosse lacrime nasceva alla vita eterna. È sabato, il giorno consacrato a Maria.
La notizia della sua morte in un baleno fa il giro della città. I suoi funerali sono un trionfo di commozione. Politici, gli amici di sempre, i poveri, gli fanno da corona mentre circolava di bocca in bocca come una lieta notizia: “È morto un santo”.
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