“Chiunque sperimenti la perdita di un amico, la fine di un amore, la morte di un parente, sperimenta un oggetto perduto”: Massimo Recalcati parla all’evento la Repubblica delle Idee nell’Arena del Sole di Bologna e offre una riflessione sul lutto. Secondo il famoso psicanalista sono tre i lavori da fare: attraversare il dolore, darsi tempo e avere una memoria grata per quella persona che non c’è più. Ho ascoltato con attenzione, come sempre Recalcati ha un’ottima capacità comunicativa e una grande competenza nella sua materia. Come trasformare il trauma della perdita in una linfa di vita? È a questa domanda che si cerca di rispondere.
È certamente buono interrogarsi sul tema della perdita e della morte. Oggi è una domanda che si cerca di eludere in tutti i modi, è una domanda scomoda perché dare senso alla morte significa dare senso alla vita. L’uomo preferisce non pensare a questo momento della propria esistenza o delle persone care. Si preferisce vivere il presente consumandolo con avidità, appropriazione, corsa al raggiungimento di ogni soddisfazione. La morte è vista come la fine di tutto, qualcosa che ti toglie quella felicità che hai sempre rincorso con fatica e impegno. Davanti alla perdita, dice Recalcati, ci sono due atteggiamenti: quello della malinconia di “chi non accetta l’assenza e rifiuta di prendere atto che quella persona non è più qui. Il tempo si arresta, si pietrifica, si immobilizza”; e chi invece risponde negando la perdita e sostituendo quella persona con un’altra per “non affrontare il dolore inevitabile del lutto”.
Nessuno di questi due approcci funziona. Quello che serve secondo Recalcati “è l’attraversamento di quel dolore, passare dalla perdita alla separazione provando gratitudine per tutto quello che è stato”. E poi un giorno ti svegli e “la nostra testa sarà finalmente sgombra, pronta per aprirsi ad un’altra vita”. Tutto vero ma anche tutto molto triste. Ad un certo punto Recalcati dice: “non c’è ponte fra il regno dei morti e quello dei vivi” e facendo riferimento alla sepoltura indica in questo atto un tentativo di contatto tra i vivi e i morti. E sicuramente nella sacralità dei riti di sepoltura c’è una dignità che solo all’uomo è riservata. Ma c’è molto, molto di più.
Nella vita del credente il punto di contatto più alto è l’Eucaristia. Il ponte tra il Cielo e la terra esiste ed è Gesù che si offre in ogni celebrazione eucaristica. Ne erano profondamente convinti i santi come Teresa di Lisieux che negli Ultimi Colloqui scrive: “Sento che sto per entrare nel riposo… Ma sento che la mia missione sta per incominciare, la missione di far amare il Buon Dio come io lo amo, di dare la mia piccola via alle anime. Se il Buon Dio esaudisce i miei desideri, il mio Cielo trascorrerà sulla terra sino alla fine del mondo… Non posso riposarmi finché ci saranno anime da salvare […] Passerò il mio Cielo a fare del bene sulla terra… farò scendere una pioggia di rose”. E il beato Carlo Acutis che diceva: “Quando vai in chiesa pensa: vado in Paradiso!”. Ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia rinsaldiamo il legame con quelli che ci hanno preceduto nell’eternità e ci coinvolge a pregare perché siano al cospetto del Padre e aiutino anche noi ad esserlo un giorno. Ed è questa speranza la più grande consolazione.
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