DENATALITÀ

I giovani non hanno la spinta a formare una famiglia? Alessandro D’Avenia riflette sulla denatalità

La denatalità in Italia è dovuta solo alla crisi economica? Se da un lato c’è la precarietà del lavoro che genera incertezze, vanno prese in considerazione anche altre cause. Secondo Alessandro D’Avenia, i giovani hanno perso “la spinta vitale” a impegnarsi in una famiglia… ma perché? Ecco alcune riflessioni del noto scrittore e professore di Milano. 

Poco tempo fa, Roma ha ospitato la terza edizione degli Stati Generali della Natalità, un evento che, nell’arco di due giorni, ha visto la partecipazione numerosa di tantissimi ospiti provenienti da settori eterogenei, tra cui quello dello spettacolo, della medicina e della politica.

Il fulcro della serie di incontri, organizzati a partire da un gruppo di comuni cittadini che hanno a cuore il bene civile, è quello di creare dibattito attorno all’emergenza della natalità in Italia, ormai acclarata.

Tra tutti gli interventi, uno ci sembra particolarmente meritevole: quello di Alessandro D’Avenia.
Scrittore e insegnante di lettere al Collegio San Carlo di Milano, D’Avenia ha affrontato il tema della denatalità, cambiandone, però, totalmente prospettiva. Se gli interventi precedenti vertevano sui servizi e gli aiuti economici da approntare per favorire le famiglie con uno o più figli (chiedendosi sostanzialmente come introdurre questa o quella struttura previdenziale), il professor D’Avenia ha scelto di analizzare le origini del calo demografico scendendo molto più in profondità, senza sconti per nessuno. Ovvero, chiedendosi e chiedendoci perché i giovani non sentono più la spinta naturale, vitale e pionieristica a mettere su famiglia.

La famiglia, a memoria d’uomo, è sempre esistita; anche in contesti economici sanitari e di welfare decisamente meno agevoli di quelli attuali. Pestilenze, carestie e guerre non hanno depresso significativamente, mai nella storia, la propensione degli individui a sposarsi e fare figli. Oggi, invece, in un quadro di benessere e di avanzamento culturale decisamente migliore rispetto ai secoli scorsi, fare famiglia è sempre più faticoso. 

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Certamente, la rete sociale di un tempo, che garantiva relazioni salvifiche di sostegno attorno la famiglia, oggi è miseramente impoverita, mentre le necessità del vivere comune sono cambiate drasticamente. Di fatto, senza un guadagno utile e stabile non si sopravvive, soprattutto nelle grandi città. Però, non basta questo a giustificare l’annichilimento dirompente della spinta generatrice, che ognuno custodisce naturalmente e che dovrebbe manifestarsi dalla pubertà in poi.

D’Avenia mette l’accento proprio su questa perdita, ovvero su ciò che da qualche decennio affligge le generazioni di giovani, e le ultime in misura critica. Secondo la sua analisi, abbiamo smesso di portare frutti generativi perché abbiamo smesso di nutrire la spinta vitale fin nell’età più tenera dell’infanzia. I ragazzi sono l’espressione netta di questa mancanza.

Essi esprimono il vuoto di senso della vita, un senso che ognuno di noi dovrebbe maturare e trovare nel momento in cui scopre la bellezza di donarsi per un bene creativo (quindi creando, generando, diventando genitore). I giovani che non maturano tutto questo non fanno che restituirci il riflesso di un disagio, che è perdita di interesse per sé e per gli altri.

Dunque, come mai questo bisogno innato di generare vita – a vari livelli – s’è smarrito? E dove è finito?

Per trovare la risposta bisogna puntare il dito su noi stessi. Su noi adulti. Siamo noi l’origine dei problemi dei padri mancati di domani.

Se il mondo di oggi promuove il controllo delle nascite in ogni sua forma e grado (e gli stessi genitori non perdono tempo nel cercare di suggerire ai propri figli ogni strumento possibile per evitare gravidanze indesiderate) come possiamo essere testimoni credibili di un’esperienza di genitorialità raccomandabile, sana e bella?

Se ai ragazzi suggeriamo di essere strumenti loro stessi, risorse umane da consumare in nome del consumismo, come possiamo pretendere che trovino desiderabile e spontaneo l’atto di donarsi per un bene generativo (che implicitamente rifiuta l’atteggiamento rapace di chi si mette al centro e usa l’altro, e invoca invece il dono di sé per portare frutti)?

In sintesi, se non aiutiamo i ragazzi a scoprire il bello che custodiscono, fonte da cui scaturirebbe di conseguenza la forza vitale che hanno in dono per natura, e di contro li induciamo a reprimere tutto questo, quali risultati pensiamo di attivare in loro?È bellissimo pensare alle famiglie che ci sono già e aiutarle concretamente a far fronte ai problemi correnti, ma guardando al futuro è anche necessario aiutare i giovani a rendersi conto delle proprie energie creative, dobbiamo portarli a domandarsi con onestà, senza rifuggire il brivido dell’ignoto: ma io, in fondo, chi sono? E chi voglio essere?




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Lisa Zuccarini

Lisa Zuccarini, classe '83, è una moglie e mamma che ha studiato medicina per poi capire alla fine di essere fatta per la parannanza più che per il camice. Vive col marito e i loro due bambini. Dal 2021 ha scoperto che scrivere le piace, al punto da pubblicare un libro edito da Berica Editrice, "Doc a chi?!", dove racconta la sua vita temeraria di mamma h24 e spiega che dire sì alla vocazione alla famiglia nel ventunesimo secolo si può, ed è anche molto bello.

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