SERIE SULLA FAMIGLIA
“This is us”: una serie tv che fa venire nostalgia di famiglia…
“This is us” (Questi siamo noi) è una serie tv made in America, andata in onda dal 2016 per sei stagioni, incentrata sulle dinamiche familiari della famiglia Pearson. Perché vale la pena vederla? Perché, pur non risparmiando di mostrare fatiche, dolori, lutti, ci fa venire una nostalgia pazzesca di famiglia…
Di serie televisive che abbiano come perno una famiglia e le sue vicende, i cosiddetti “family drama”, ne abbiamo conosciute in quantità dall’avvento degli anni Novanta in poi.
Perciò “This is us” (Questi siamo noi), serie tv made in America andata in onda dal 2016 per sei stagioni, incentrata sulle dinamiche familiari della famiglia Pearson snodate in un arco temporale gigantesco (dal 1980 ai nostri giorni), dalle premesse non aveva in sé nulla di sconvolgente.
Eppure, se questa serie longeva ha saputo catalizzare attorno a sé milioni di telespettatori, ricevendo affetto smodato da parte del pubblico, oltre a riconoscimenti e premi a iosa, un motivo ci sarà.
È stata la curiosità a spingermi a cominciarne la visione, dopodiché ho continuato a guardarla perché in definitiva affezionarsi ai personaggi della famiglia Pearson e ai loro guai esistenziali è stato inevitabile.
Senza voler fare anticipazioni importune (insomma, senza spoilerare oltre il necessario) ecco per grandi linee l’incipit della trama.
Rebecca, giovane cantante, e Jack, reduce del Vietnam, si incontrano e si innamorano. Finalmente, nonostante i rispettivi contesti familiari non proprio idilliaci, si sposano. Ecco, quindi, che vediamo la coppia festeggiare nel 1980 il compleanno di Jack e subito dopo precipitarsi in ospedale: Rebecca aspetta tre gemelli, deve partorire. Nel parto, però, uno dei tre bimbi muore, e così Jack decide d’impulso e sostenuto dal ginecologo della moglie di adottare un neonato giunto nelle stesse ore in ospedale, abbandonato poco prima davanti ad una caserma dei pompieri. Dunque, la famiglia Pearson vede l’ingresso tra i suoi componenti dei gemelli Kate e Kevin, e di Randall, il bambino adottivo. Di per sé, nulla di strabiliante, se non per il fatto che Randall è un bimbo di colore, in una famiglia di bianchi nell’America degli anni ’80, il che darà molto materiale per rendere complicata e ricca la struttura psicologica dei personaggi.
Il racconto, che verte sulla vita dei fratelli Pearson, dei loro genitori, e di un lutto che segnerà molto precocemente tutti, procede per tre linee temporali. È un continuo alternarsi di scene ambientate nei giorni nostri e flashback che risalgono all’infanzia e all’adolescenza dei fratelli Pearson, senza tralasciare flashforwards che lanciano l’esca per intravedere un futuro molto lontano, il che conferisce alla narrazione dinamicità estrema (non so come abbiano fatto gli sceneggiatori, deve essere stato un lavoro immane incastrare alla perfezione episodi del passato, del presente e del futuro mantenendo coerente la trama).
Come se non bastasse, un altro merito degli scrittori è la sapiente caratterizzazione psicologica non solo dei protagonisti, ma di ogni singolo personaggio che entra in scena, fosse anche solo il lattaio. Ogni storia personale è presa in carico con attenzione, si cerca di capire a fondo le motivazioni che spingono ciascuno a fare una scelta piuttosto che un’altra, nulla è lasciato al caso e anche il ladro che minaccia di notte uno dei protagonisti con in mano un coltello alla fine è meritevole di redenzione.
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Ad essere onesti, non mancano copiose strizzate d’occhio al mainstream, pertanto nella trama ad un certo punto spunta la ragazza che non accetta come pronome personale “lei” ma “loro” (ai giorni nostri ha fatto pubblicità a questo tipo di scelta la cantante Dami Lovato, sdoganando una visione non binaria della propria identità sessuale), come non manca il personaggio che svela di essere bisessuale, optando in tarda età per una relazione omosessuale, senza tralasciare la quantità ingente di separazioni, divorzi e successive seconde nozze.
Dico la verità, ho trovato parecchio dissonante che dalla storia di una famiglia che ha come punto di forza l’unione e l’amore viscerale dei genitori, originino tante sciagure sentimentali da parte dei figli. È qualcosa che trova spiegazione solo nel fatto che i protagonisti, affrontando i propri fantasmi personali, ne escano abbastanza lacerati e non risolti, se non a fatica.
Ma allora, in definitiva, cosa rende questa saga degna di essere vista e seguita?
A mio parere, bastano due parole: ovvero padre e madre.
È la figura paterna solida e determinante di Jack, che resterà nella storia dei pater familias televisivi come pochi, a creare enfasi, a generare le storie di tutti gli altri e a muovere noi davanti allo schermo.
È la figura empatica, sofferente e accogliente di Rebecca a fare da degno contraltare a Jack, affiancando il marito con fiducia folle e facendone le veci al momento opportuno.
Ecco a cosa credo vada assegnato il merito di This is us: ci fa venire una nostalgia pazzesca di famiglia. Di una famiglia in cui il padre cerca in tutti i modi fisicamente di tenere in piedi le sorti delle persone che ama, caricandosele sulle spalle, senza esimersi da cadute umanamente fragorose, ma provandoci fino in fondo. E con “fino in fondo” intendo letteralmente fino in fondo, cioè fino a dare la vita per chi si ama.
Una famiglia dove la madre non smette di spezzare il pane per tutti i figli, anche quando saranno adulti, cercando la sua felicità e allo stesso tempo quella della famiglia, senza lasciare indietro nessuno, attenta all’ascolto su tutti i fronti, sbagliando e chiedendo scusa, ma sempre amando.
Ecco la forza di questa serie.
La famiglia, narrata come la risorsa più importante e decisiva nella vita degli individui. Imperfetta, umana, sconvolta a tratti, ma in questo caso unita fino all’ultimo. Nonostante tutto, con un amore che vince su tutto.
La frase iconica che suggella l’intera storia della famiglia Pearson a mio giudizio è questa: prendi il limone più aspro che la vita ti offre e fanne qualcosa di simile a una limonata.
È la frase che mi resta nel cuore, e che vale la pena portarsi come lascito di un racconto emozionante e complesso come solo la vita sa essere.
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