Qualche volta dalla mia libreria stracolma, tiro fuori un libro della mia gioventù. Sì, lo posso dire. Sono in quella fase dell’esistenza dove la gioventù è diventata un tempo lontano. Le intuizioni di allora hanno bisogno di essere rivestite dalla maturità dell’esperienza. Ma questo non significa che devono diventare spietatamente realiste o grigie come i capelli che cominciano a spuntare. Quando al Liceo lessi per la prima volta “I dolori del giovane Werther”, celebre romanzo epistolare di Goethe, ricordo di averlo fatto tutto di un fiato. Ero affascinata dalla capacità di questo ragazzo di soffermarsi sui particolari della vita. Illuminava con la sua scrittura le cose e le persone che amava perché il suo sguardo passava per il cuore prima che dalla mente, per diventare poi parola. Ma nel finale, il suo dolore mi aveva annientata.
Conoscete la storia del giovane Werther? Si innamora perdutamente di Charlotte, già promessa sposa di Albert. Nelle lettere che scrive al suo amico Guglielmo, Werther descriverà l’avanzare dell’amore nel suo cuore per questa donna. “Lei mi è sacra…Come mi sento elevato ai miei propri occhi da quando lei mi ama! … Mi pare che tutta l’anima si riversi nei miei sensi…Ho mandato da lei un mio servitore per avere intorno a me un uomo che le fosse stato vicino”. Sono solo alcune delle espressioni che Goethe mette nella bocca del suo protagonista. Espressioni che hanno una capacità di elevare il cuore e la mente, di introdurre la novità nella vita di questo giovane annoiato in cerca di tranquillità in un villaggio di campagna.
L’amore questo genera quando tocca le corde dell’interiorità. Ci aiuta a riconoscere la sacralità che ogni persona porta con sé, a stupirci continuamente di ogni suo gesto, ad essere grati per la comunione, l’amicizia, il dono reciproco. Quante relazioni sono inquinate nello sguardo. Dal desiderio di possedere l’altro, dalle gelosie, dalle invidie, dalla cattiveria. Giudizi gratuiti che nascono spesso da un cuore che si è allontanato dalla sorgente, che non riconosce più l’impronta del Creatore e dimentica di essere stato creato per amare ed essere amato con la misura della croce.
Avevo bisogno di recuperare quello sguardo ieri mattina. Raccolgo spesso le lamentele e il disincanto sulla vita e sull’amore. Sembra quasi che ci siamo abituati al grigio, incolore e stantio modo di trascinarci nei nostri rapporti di amicizia e di affetto. Le frasi più famose che raccolgo dagli amici? “Così deve andare…cosa posso fare? Non dipende da me…è la vita ad essere difficile. Lui non è esattamente ciò che mi attendevo… è stata una delusione. Non si accorge di me… non bada nemmeno se cambio taglio di capelli ma se sono ingrassata me lo fa notare…”. Continuo? Non credo ci sia bisogno. E allora cosa deve cambiare? Come dobbiamo tenere alto il cuore e l’amore? È lo sguardo che deve cambiare, è la capacità di scorgere la novità in ogni singolo giorno e in ogni gesto.
“Guarda (dice l’originale greco, più spesso tradotto con “ecco”), io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5): Dio dice nell’Apocalisse all’uomo impaurito dal fallimento, dalla stanchezza, dalla crisi. Dobbiamo imparare a guardare, a cercare la novità che un Altro immette nella nostra vita. Siamo noi che dobbiamo aprirci a questa novità anche se costa fatica.
Certo, è faticoso amare, scorgere ogni giorno nel volto di chi amiamo la bellezza e il mistero della sua vita per me. È faticoso per una mamma, un papà andare oltre la stanchezza di essere buoni genitori, è faticoso credere ancora ad un amico che ci ha delusi. Eppure abbiamo la possibilità di meravigliarci ogni giorno, di accogliere la novità di Chi fa nuove tutte le cose se restiamo uniti a Lui, se non ci discostiamo dalla fonte della gioia. Werther è sopraffatto dal dolore perché non trova questa sorgente. Stacca le corde dell’interiorità, recide il filo che ci tiene uniti al Cielo, sprofonda in un dolore che diventa di-sperazione. Noi invece siamo dei sperati, per noi c’è un Altro che ha già vinto la morte e ci ha regalato la possibilità di una Luce che non si spegnerà mai.
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