EDUCARE ALL’AFFETTIVITÀ
“Un amore senza tenerezza è un fake”: incontrando dei ragazzi delle medie…
In questo momento mi trovo in treno: sto tornando nella mia regione, le Marche, dopo aver passato due giorni molto intensi a Napoli. Ero stata invitata da una professoressa di religione per parlare ad alcune classi di una scuola media di “tenerezza e violenza”, “purezza e possesso”, nell’ambito delle relazioni di amicizia ed amore. Ecco quello che porto a casa…
Ammetto che avevo un po’ di timore, quando un’insegnante di religione di Napoli mi ha chiamata per chiedermi se avessi piacere di parlare in una scuola media di temi che spesso affronto nei miei libri e nei miei articoli: tenerezza, rispetto del corpo, maturità nelle relazioni.
Sono abituata a parlare con adulti o con ragazzi più grandi (liceali e universitari) e poi, di solito, per la mia formazione cristiana, vengo chiamata solo in ambienti religiosi, non laici.
Però ho deciso di accettare la sfida (si può proporre il bene anche senza nominare Dio e il Vangelo…). E così sono arrivata in questa scuola, dell’Istituto comprensivo Cariteo Italico, dove sono stata accolta dalla tipica esuberanza dei napoletani.
“Voi non siete più dei bambini – ho detto alle classi che incontravo di volta in volta – state crescendo, iniziate a prendere le prime vere decisioni della vostra vita, come la scuola superiore da frequentare tra poco. Siete chiamati ad avere consapevolezza dei vostri gesti. Un aspetto importante della vita su cui ci prendere decisioni sono le relazioni. Come volete vivere le vostre relazioni?”.
Ho deciso di soffermarmi sull’importanza della tenerezza, intesa come protezione e vicinanza, come cura e attenzione per le fragilità dell’altro, come rispetto per i sentimenti e per il dolore dell’altro.
Ho detto che la tenerezza si manifesta nel saper ascoltare, nell’essere empatici con l’altro e che vivere la tenerezza non è da deboli, ma da persone forti, mature, risolte affettivamente.
“Un’amore senza tenerezza è un fake. – ho sottolineato – Un falso. Non esistono amicizia e amore senza cura reciproca…”.
Poi mi sono soffermata sul contrario della tenerezza: la violenza.
“La violenza può avvenire attraverso dei gesti fisici, – ho fatto presente ai ragazzi – ma anche attraverso le parole. Rifiutare la violenza significa rifiutare anche un «linguaggio violento». Ovvero… Non insultare, non parlare in modo volgare, cioè come se le persone fossero cose, non offendere per caratteristiche fisiche, non calunniare, non parlare di qualcuno come se non valesse nulla”.
A questo punto sono venute fuori dinamiche poco positive in alcune classi: veri e propri gesti di sfregio, di umiliazione, di sopraffazione. Ci sono stati momenti di pianto, di condivisione sofferta (“A forza di essere preso in giro dai miei compagni mi sento un fallito”).
A quel punto ho raccontato loro la storia di una ragazza che aveva vissuto tre anni di bullismo alle scuole medie e si era convinta di non valere nulla, al punto che poi, in adolescenza, ha accettato una relazione tossica, sbagliata, dove lui addirittura la picchiava ed è dovuta ricorrere ad un centro antiviolenza.
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“Credevo di non meritare nulla, mi avevano convinta che fosse così!”, testimonia.
“State attenti a quello che dite! – ho insistito – Potete lasciare un segno positivo o negativo nella vita dei vostri compagni, avete il potere di far vivere a qualcuno la scuola come un inferno. Abbiate cura dei sentimenti dell’altro, non lo schiacciate mai!”.
Appena usciva fuori il discorso del bullismo alcuni, purtroppo, ridevano, anche di fronte alle confidenze dolorose dei compagni, ma quando dicevo loro che non c’era nulla da ridere e che è molto più bello interessarsi al dolore invece di deriderlo, smettevano di ridere, abbassando lo sguardo. Diventavano scuri in volto.
In alcune classi ho detto di essere stata io stessa vittima di bullismo, ma il mio “carnefice”, anni dopo, ha avuto il coraggio di chiedermi scusa e io l’ho apprezzato molto. “Si può sbagliare, ma imparate a riflettere su quello che fate, a chiedere scusa!”.
Poi abbiamo parlato di purezza e possesso e ho detto loro che un’amicizia – o una relazione di coppia – è pura quando si vede l’altro come un bene in sé, non solo come «un bene per me»; quando non si sfrutta l’altro. Una relazione è possessiva quando l’altro è visto come qualcosa di mia proprietà.
A quel punto venivo letteralmente inondata di domande sulla possessività, sulle relazioni tossiche, su come guarire da queste dinamiche.
Un altro aspetto trattato è stato il rispetto per il proprio corpo e per quello degli altri e sono venute fuori domande e osservazioni sulla sessualità e sull’amore in generale. Qualcuno ha chiesto: “Perché crescendo si perde la purezza?”, “Bella domanda – ho detto – perché il mondo non propone sempre la purezza, anzi. Ma voi cercatela, tenetevela stretta: è la fonte della pace e della felicità…”.
È stato bello vedere dei ragazzi partecipi e assetati di cose belle.
Le dinamiche storte, la cattiveria gratuita, l’insensibilità sono aspetti che, purtroppo, di frequente sono presenti nelle scuole. Eppure, io ho visto che se i ragazzi li tratti da grandi, se fai capire loro che possono fare di meglio, quanto meno abbassano lo sguardo e ci riflettono.
Non scoraggiamoci: nessun ragazzo è perduto finché ha un adulto affianco che si preoccupa del suo futuro.
Ho visto tanto bene, in questi giorni, oltre alle difficoltà. Ho visto tanti occhi luminosi. Altri più spenti, ma in cerca di una luce (e infatti, i ragazzi più tristi erano quelli che mi cercavano di più). Vi prego: non stanchiamoci mai di sporcarci le mani, di metterci in gioco e di illuminare il cammino dei nostri ragazzi!
Un ringraziamento alle insegnanti che hanno portato avanti questo progetto di Educazione all’affettività: abbiamo bisogno tutti di momenti così… piccoli e grandi!
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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