SOLIDARIETÀ AL LAVORO
Mamma di una bimba malata di tumore finisce i permessi a lavoro: i colleghi regalano le loro ferie
Una madre lavora in un supermercato, la figlia di nemmeno un anno si ammala di tumore e per accompagnarla in ospedale la donna finisce ferie e permessi. I colleghi regalano tutte le loro ferie e i loro permessi alla collega… Una storia che profuma di speranza ma chiede anche sostegni più efficaci da parte delle istituzioni. Tempi più rapidi e meno burocrazia.
Ad una bambina di appena nove mesi viene diagnosticato un tumore. La sua mamma e il suo papà trovano chi dia loro una speranza di cura, ma bisogna spostarsi dalla provincia di Livorno, dove vivono, verso l’ospedale pediatrico Meyer, a Firenze. Una volta a settimana bisogna andare lì, rimanere per la notte, ripartire.
Così la mamma, impiegata in una catena di supermercati, si assenta ogni settimana usando permessi e ferie, sfrutta tutte le ore arretrate accumulate in precedenza e in questo modo può accompagnare la sua bambina alle terapie garantendo uno stipendio alla famiglia (il papà intanto non ha ottenuto il rinnovo del contratto a tempo determinato, in un altro supermercato di Pisa).
A dicembre 2022 tutti i permessi e le ore disponibili sono finiti. E come si fa?
Come si fa se tua figlia, nemmeno un anno di vita, ha un tumore ai polmoni e tu devi garantirle il pane quotidiano come pure una speranza di sopravvivenza, ma non sono previsti aiuti né agevolazioni contingenti dallo Stato per un caso come il tuo, e nel frattempo non c’è modo di ottenere il dono dell’ubiquità?
Si fa che gli esseri umani, messi davanti alla tragedia di un loro simile, possono dare il meglio e fare molto bene, applicando la solidarietà, quella semplice, che parte dal cuore e dalle maniche rimboccate.
Perciò, accade che i dipendenti di due supermercati della catena in cui lavora la madre della nostra storia rinuncino ciascuno spontaneamente ad alcune ore delle loro ferie pagate per donarle a lei.
In tutto riescono a racimolarne 600.
Questi genitori, già provati dalla vita, almeno fino a giugno potranno accompagnare la loro bambina a Firenze, senza ulteriori angosce.
Una vicenda che lascia un profumo di speranza nell’aria.
Ci sono molte persone, magari genitori a loro volta (ogni singola ora di ferie retribuite è preziosa nell’ottica delle dinamiche familiari imprevedibili) disposte a privare sé stesse per aiutare il prossimo.
Inoltre, stavolta possiamo parlare di datori di lavoro che guardando al dramma in corso di una loro dipendente, si mettono una mano sul cuore, le vanno incontro. Non è previsto in nessun contratto il trasferimento di ore retribuite da un lavoratore ad un altro, ma il rigore della norma viene smussato, è l’essere umano a trovare il primo posto.
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Infine questa famiglia travagliata trova ospitalità a Firenze, gratis, in una struttura messa a disposizione dall’Associazione Tommasino Bacciotti, che offre supporto e accoglienza ai genitori di pazienti pediatrici costretti dalle terapie a rimanere per periodi a volte lunghi in una città dove il caro affitti è drammatico.
Ed ecco che scopro una storia nella storia. Tommaso aveva nove mesi quando gli viene diagnosticato un blastoma cerebrale molto raro e aggressivo, che lo porterà presto in cielo ad appena due anni di età nel 1999. Dal dolore della perdita, i suoi genitori danno vita alla Onlus che porta il nome del loro bambino, per aiutare altri bimbi ammalati e i loro familiari bisognosi di sostegno concreto e vero, rendendo l’Associazione Tommasino Bacciotti una vera manna dal cielo per tantissimi che raggiungono il Meyer di Firenze con la speranza nel cuore, da ogni parte d’Italia e oltre (Tommasino, sei stato davvero un piccolo germoglio su questa terra, ma hai generato rami alti verso il cielo!).
Ora però torniamo alla storia da cui siamo partiti.
Scopro che di precedenti, cioè casi in cui colleghi si coalizzino al fianco di chi vive situazioni contingenti familiari tragiche donando ore di ferie, ce ne sono molti. Dunque, si tratta di una vera e propria emergenza corrente nel panorama lavorativo italiano.
Un tentativo, nel nostro stile casereccio, di provare a darsi una mano reciproca dove le istituzioni non arrivano o lo fanno con tempistiche incompatibili con l’emergenza. Purtroppo, però, alcune malattie non guariscono in pochi mesi, alcuni drammi non si esauriscono nel giro di 600 ore di permesso.
A giugno la mamma della bambina ammalata di tumore ai polmoni esaurirà le ore che le sono state donate.
Per allora, auguro fortemente a questa famiglia di ricevere ottime notizie sullo stato di salute della loro bambina. Ma qualora fossero necessarie ancora terapie e trasferte, auspichiamo per loro e per tutti coloro che sono nelle medesime condizioni di ricevere un aiuto più strutturato e previdenziale.
Tra le mille forme di indignazione popolare che ci sono, trovo inquietante il silenzio nei confronti di una categoria davvero fragile e spesso dimenticata. Se non discriminata. Quella dei bambini malati, a volte disabili gravi, e delle loro famiglie. Che oltre alla responsabilità di un accudimento amorevole ma spesso non facile (e costosissimo sotto mille aspetti) dei loro piccoli si ritrovano a ricevere aiuti a gocce, incostanti, burocraticamente lenti in modi e forme spesso ai limiti della decenza.
Le madri e i padri che vivono sulla pelle l’abbandono da parte della società e dello stato sono troppi, ma non trovano eco né rappresentanza. Un malessere trascurato colposamente da un Paese tanto civile e attento ai diritti delle minoranze.
Pare quasi che alcune diversità facciano più trend di altre, e allora uno si chiede se la storia di avere a cuore le diversità sia una trovata pubblicitaria o un reale slancio umanitario.
Io in un finale equo e giusto per questa storia voglio crederci.
Spero in provvedimenti che assicurino da subito a ogni genitore di non dover scegliere tra l’assistenza ad un figlio ammalato e il lavoro che porta pane a tavola.Perché la solidarietà è una cosa bellissima e un’opportunità di crescita per tutti. Ma quando le istituzioni vengono meno al loro ruolo di pater familias, i cittadini rischiano di prenderne esempio, un pessimo esempio.
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