Vorrei poter parlare di Sanremo, del gesto da bambino viziato di Blanco che dichiara pure di essersi divertito a distruggere tutte quelle rose in diretta televisiva, della realtà sulla condizione femminile dipinta della Ferragni che non esiste più da decenni o del “io sono un bravo cristiano senza essere cristiano” di Rosa Chemical che invita nel suo letto perché “più siamo e meglio è”. Starei volentieri qui a confrontarmi con serietà su queste stupidaggini evitando le frasi da bacchettoni di turno che vedo così in voga anche tra i cattolici ma c’è proprio altro di cui scrivere in questi giorni.
C’è un dolore che va illuminato, una tragedia che non va trascurata. C’è un padre che è seduto da ore a stringere la mano della figlia quindicenne sepolta viva e morta sul colpo dopo il crollo della palazzina. Quel padre si chiama Mesut Hanser, la 15enne rimasta uccisa era Irmak. Siamo nella regione di Kahramanmaraş. Guardo la foto e il dolore mi penetra come una lama.
Quell’uomo è come abbandonato contro una parete di macerie, curvo, la testa quasi sprofonda nel cappuccio del giubbotto. Accanto a lui un materasso seppellito dai muri che si sono sbriciolati, e quella piccola mano inanimata, bianca come il marmo che quel padre stringe con tutto se stesso. Pazientemente, in attesa che i soccorritori liberino il corpo di quella figlia. Quali pensieri bruceranno nel cuore di quel padre?
Ripenserà forse alla prima volta quando è nata la figlia e ha stretto la manina di quel minuscolo esserino pensando: “Ti proteggerò da ogni male”. E poi quando le stringeva ancora la mano mentre la figlia muoveva i primi passi o il primo giorno di scuola. Forse si sentirà un po’ in colpa per non essere stato capace di proteggerlo dalla furia del terremoto inaspettato. Noi genitori ci sentiamo sempre un po’ in colpa quando a un figlio accade qualcosa di brutto. E forse quel padre starà pensando che sarebbe dovuto morire lui e non quella figlia nel fiore degli anni. Perché un genitore vorrebbe sempre dare la propria vita in cambio di quella di un figlio.
Vorrei essere lì a stringere la mano di quell’uomo, a dirgli che non è solo. Che sì, è innaturale vedere un figlio morire così. Vorrei dirgli che il mondo non starà a guardare indifferente, che lo aiuteremo a ricostruire la sua casa e un po’ la sua vita ma non so se ne sarei capace di pronunciare una sola sillaba. E allora vorrei solo poter essere lì a stringere la sua mano nel freddo di un inverno devastato da un numero agghiacciante che è destinato a ingrossarsi terribilmente: più di 16mila vittime estratte dalle macerie del terremoto. Scusate se Sanremo, a parte un pensiero fugace, non abita più di tanto la mia mente. Penso che abbiamo tutti qualcos’altro di cui occuparci.
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