GIUSTIZIA E MISERICORDIA

Matteo Messina Denaro e… quel Dio che cerca ogni pecora perduta

C’è grande soddisfazione per l’arresto di Matteo Messina Denaro. Abbiamo visto persone in piazza festeggiare per la vittoria della giustizia. È Gesù stesso a dire che facciamo bene ad aver sete di giustizia, perché saremo saziati. Al contempo, però, c’è la tristezza per un uomo che ha scavato la fossa della sua anima, che non ha accolto, fino ad ora, il progetto di Dio sulla sua vita.

Davanti all’arresto di un pluriomicida, capo di una associazione a delinquere che ha messo – e continua a mettere in ginocchio – persone, famiglie, città… quale può essere la reazione del cristiano?

Nei vari talk show serali, che in questi giorni hanno raccontato la storia di Matteo Messina Denaro, si sono mostrati, tra le altre cose, i festeggiamenti in alcune piazze della bellissima Sicilia. E se ancora c’è chi dice, forse per paura, forse per collusione (più culturale che materiale) che “hanno sbagliato ad arrestarlo”, tanti affermano che si tratta di una vittoria per la legalità. A far discutere è una latitanza durata 30 anni: il boss – è inquietante se ci pensiamo bene – poteva girare indisturbato in città. 

Questo la dice lunga sul grande lavoro che ancora è necessario fare nella lotta alle mafie. 

Tuttavia, seppur parziale, una vittoria c’è stata. E in piazza, nei giorni scorsi, a brindare e recitare poesie, c’erano anche persone di Chiesa, persone che credono nel valore della giustizia e che difendono i valori del Vangelo. 

D’altronde, è Gesù stesso a dire che facciamo bene ad aver sete di giustizia, perché saremo saziati.

Il pensiero, oggi, corre a tutte quelle persone che hanno sofferto a causa di quest’uomo, ai bambini uccisi, il cui sangue innocente continua a gridare davanti a Dio e a scuoterci, corre agli uomini fatti fuori solo perché ostacolavano i suoi progetti, ai pentiti ridotti in polvere, alle vedove di costoro.

Il pensiero va ai famigliari di tutte le vittime, che hanno sperimentato una crudeltà fuori dal comune. Molti si chiedono, ripercorrendo il vissuto di Messina Denaro, se ce lo avesse anche lui, un cuore.

Infine, però, c’è la tristezza per lui: per un uomo che ha scavato la fossa della sua anima, che non ha accolto il progetto di Dio sulla sua vita.  

Qualche giorno fa al catechismo parlavo con i miei ragazzi dei farisei. Una bambina ha detto: “Dio aveva un progetto diverso per i farisei, glielo ha dato quando erano bambini, ma loro non lo hanno realizzato. Hanno scelto il diavolo…”

Sono rimasta senza parole e ho pregato, in cuor mio, che ciascuno di loro coltivi, invece, i talenti del Signore.

Personalmente, quando ho visto salire quel boss, ormai malato di cancro, sull’auto della polizia che lo avrebbe condotto in carcere, non ho pensato come prima cosa al buio e alla solitudine della cella in cui avrebbe finito i suoi giorni. Perché se il cuore è nella luce, il buio di un carcere non può davvero sopraffarci. Ce lo ha insegnato Padre Massimiliano Kolbe, vittima della furia nazista, che è morto in un campo di concentramento mentre pregava e cantava gioioso.

Il mio pensiero è andato al buio interiore, alla coscienza pesante dopo una vita passata a seminare terrore.

Leggi anche: La Giustizia e il “fine pena”: il caso Giovanni Brusca visto con gli occhi della fede (puntofamiglia.net)

Certo, non sta a noi giudicare, non sta a noi metterci in mezzo nel rapporto tra il boss mafioso e il suo Creatore, non possiamo fare la radiografia al suo cuore, ma possiamo provare angoscia per lui, questo sì. Possiamo chiedere a Dio che lo aiuti a pentirsi, se non l’ha già fatto, perché Gesù è venuto per i peccatori più incalliti. Piange per noi e vuole strapparci dalla mano del diavolo. Lo vuole così tanto da offrire in sacrificio il suo corpo, da versare tutto il suo sangue. 

Matteo Messina Denaro una volta confidò a un suo amico: “Con tutte le persone che ho ucciso io potrei farci un cimitero”.

Parole che suscitano sdegno, che ci fanno accapponare la pelle, ma che al tempo stesso ci rimandano ad un altro: al serpente maledetto. È roba sua, questa spregiudicatezza satanica. 

Personalmente, gioisco e ringrazio il Signore per l’arresto di un uomo che ha seminato solo morte intorno a sé.

Gioisco per ogni pezzetto del regno di Satana che crolla, che si sgretola.

Però, stamattina, guardando il crocifisso, ho pensato: “Gesù, tu amavi quell’assassino. O meglio, tu lo ami. Hai sete del suo amore, ti manca”.

Ho pensato all’angoscia di Gesù, che soffre e suda sangue, per ogni pecora che si perde. E ho pregato per lui, per quel peccatore incallito che tutti – me compresa – danno per spacciato.

“Noi lo vorremo vedere marcire all’inferno: tu, invece, sei finito su quel legno anche per lui…”

Non sta a noi stabilire le sorti eterne di questa persona che si è trasformata in un demone, ma un detto recita che finché c’è vita c’è speranza. E per noi cristiani la vita è Gesù. E pure la speranza. 

Proviamo a otturarci il naso e a ricordare in preghiera anche persone così, che non meritano nulla, che hanno sulla coscienza reati imperdonabili, difficili anche solo da immaginare e nominare.

Non dobbiamo fare chissà cosa (anche perché non ne saremmo capaci): solo affidarli alla misericordia e alla giustizia più grande e perfetta: quella di Dio.




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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