George Pell, il soldato libero che è tornato a Casa
Il 10 gennaio a Roma, il cardinale australiano George Pell, prefetto emerito della Segreteria per l’Economia, dopo essere stato arcivescovo di Melbourne e di Sydney, è tornato alla casa del Padre. Aveva 81 anni e soffriva di cuore. Non ha superato infatti, le complicazioni causate da un intervento chirurgico all’anca.
Nei giorni scorsi avevo visto in televisione il cardinale partecipare ai funerali del papa emerito Benedetto XVI. Non stava dunque così male. Evidentemente è sopraggiunta un’improvvisa complicazione. Pesavano sul suo corpo, anche se forte e possente, da ex giocatore di rugby, non il peso della fatica e del lavoro per la sua Chiesa ma il ripudio e le accuse che per anni hanno infangato ingiustamente il suo nome e la sua persona.
Ripercorriamo brevemente le tappe della sua vita al servizio della Chiesa. Il 16 luglio 1996 Giovanni Paolo II nomina don George, che all’epoca aveva 55 anni, arcivescovo di Melbourne in Australia. E il 26 marzo del 2001, arcivescovo di Sidney. Nel continente i cattolici sono il 25% della popolazione e ogni giorno si devono confrontare con la chiesa anglicana, i protestanti e le religioni di origine asiatica. Il vescovo cerca di essere per il suo popolo un punto di riferimento forte e fedele al Magistero della Chiesa. Nel 2003 riceve la nomina cardinalizia. Nel 2008 accoglie papa Benedetto per la Giornata Mondiale della Gioventù.
Con l’inizio del ministero petrino di Papa Francesco, esattamente nel 2014, il cardinale Pell viene nominato Prefetto del Dicastero della Segreteria per l’economia. In parole povere è chiamato ad occuparsi delle finanze della Santa Sede e dello Stato Vaticano. È un uomo intransigente e rigoroso. È difficile non pensare che proprio in merito a questo importante incarico si sia attirato l’antipatia di molti.
Tre anni dopo, il 20 giugno del 2017, viene accusato dalla polizia australiana di abusi sessuali su minori consumati molti anni prima. Comincia un vero e proprio calvario. Il cardinale rifiuta l’immunità diplomatica e torna in Australia per essere processato. Inizialmente viene prosciolto da molte accuse su di lui tranne nel caso di due minorenni coristi che secondo i suoi accusatori sarebbero stati abusati alla fine di una Celebrazione Eucaristica nella cattedrale di Melbourne nel 1996. Diverse vicende giudiziarie giungono al verdetto di colpevolezza nel novembre del 2018 e il cardinale Pell è condannato a sei anni di carcere. Uno dei giudici scrive una memoria di 200 pagine per dimostrare l’innocenza del cardinale ma ogni ricorso è respinto. Pell si proclamerà sempre innocente. Nello stesso tempo la stampa è molto meno clemente, sia quella locale che quella nazionale e anche qualche nostra testata, abbandonando ogni correttezza giornalistica, invoca la testa del cardinale Pell. Cosa c’era di più succosa di una notizia del genere che buttava fango sulla Chiesa?
Per oltre 400 giorni il cardinale che all’epoca aveva 79 anni, ha vissuto in prigione da innocente, da solo e con la devastante sentenza che pendeva sul capo dall’opinione pubblica: pedofilo. La più infamante delle accuse per un prete. Durante i giorni duri della prigionia, il cardinale Pell scrive un diario, struggente, ironico, ricco di particolari sul tempo trascorso tra le sbarre. Sono ricordi dei suoi compagni di cella, della meditazione delle letture quotidiane, riflessioni sul perché della prigionia. Sono pagine lucide ma soprattutto illuminate da una fede solida e umile. «La mia esperienza dimostra quanto ci aiutano gli insegnamenti della Chiesa, quanto aiuta pregare, cercare la grazia di Dio», diceva in una intervista a Radio Vaticana, in cui spiegava pure di aver scritto continuamente durante la reclusione perché «ho pensato che avrebbe potuto essere di aiuto per chi si trova in difficoltà, per chi vive un momento di sofferenza, come quello che ho vissuto io. Poi – aggiungeva – ho pensato che tenere un diario sarebbe stato di qualche interesse dal punto di vista storico, perché non ci sono stati molti cardinali che hanno fatto l’esperienza del carcere».
Un prolungato ritiro: è lui stesso a definire quei giorni. Scrive nel suo Diario il 9 marzo 2019: «Il mio destino ha serie ripercussioni per la Chiesa, soprattutto in Australia, ma maggiormente per la mia difesa della cristianità crocifissa. Pare ci siano pochi dubbi sul fatto che il mio conservatorismo sociale e la difesa dell’etica giudeo cristiana abbiano acuito l’ostilità popolare, soprattutto tra i laicisti militanti. Credo nella provvidenza di Dio, non ho mai scelto questa situazione, né mi sono prodigato per evitarla; ma eccomi qui e devo fare di tutto per compiere la volontà di Dio».
Compie questa volontà con assoluta fedeltà. Attende con pazienza e speranza il giorno in cui potrà celebrare di nuovo Messa con il popolo di Dio. Il 7 aprile 2020 è stato assolto dall’Alta Corte australiana. Sette giudici si sono espressi all’unanimità ribaltando la sentenza della Corte d’Appello emessa nell’agosto 2019 per inesistenza di prove. Le ombre si dissolvono, la verità vince. Il cardinale Pell torna a Roma da innocente. E a me piace pensare che lunedì scorso è andato in Cielo da soldato libero per godersi il sospirato ritorno a Casa. Ha combattuto la buona battaglia e ha conservato la fede.
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