Il cristianesimo? Più che una dottrina è una persona. Cosa ci lascia papa Benedetto XVI
Joseph Ratzinger ha segnato una svolta nel pensiero teologico. Il cardinal Ruini lo ha definito “il papa del rapporto tra fede e ragione”. Ha dialogato con i filosofi e con le dottrine contemporanee. Che Dio lo accolga e, sull’esempio di Benedetto, la nostra vita possa concludersi come bambini tra le braccia del Signore, mentre sussurriamo, con le ultime forze: “Gesù, ti amo”.
Il primo di gennaio, all’indomani della morte di papa Benedetto XVI, un sacerdote, durante l’omelia, ha sollecitato i fedeli in questo modo: “Leggete le encicliche di Papa Francesco, perché sa parlare alla gente. Benedetto volava alto, parlava con i suoi amici filosofi. Francesco, invece, parla a tutti”. Dopodiché, ha iniziato a esporre alcuni punti della bellissima enciclica Fratelli Tutti, del papa argentino. Ho molto apprezzato le riflessioni che Francesco offre in quel documento, ma ho provato dispiacere per come si fosse “sorvolato”, proprio il giorno dopo la sua morte, su tutto il bene compiuto da Benedetto. Non era il contesto adatto per alzarsi in piedi e ribattere, ma avrei davvero voluto farlo: vi sembra poco che un Papa sappia parlare con i filosofi?
Il papa del rapporto tra fede e ragione
Ci troviamo in un’epoca dove si discute se la fede abbia o meno una sua ragionevolezza e si crede che scienza e religione debbano farsi la guerra. Perché non sviscerare la preziosa eredità di un grande filosofo e teologo come Ratzinger, che ha avuto il merito di conciliare questi due aspetti?
Il cardinal Ruini, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera lo scorso 31 dicembre, lo ha definito proprio: “Il papa del rapporto tra fede e ragione”.
Secondo Ruini, colpiva di lui “quanto fosse penetrante il suo pensiero teologico” ed era così “intelligente e fine spiritualmente” da aver compreso che la fede vive nel tempo: per rimanere sé stessa deve rinnovarsi continuamente, rispondendo alle domande e alle sfide del proprio tempo.
Se dovessimo provare a delineare il carisma particolare di Benedetto XVI – senza metterlo a confronto con nessuno – potremmo constatare proprio questo: l’importanza teologica di Ratzinger.
Volava alto, è vero, ma perché non provare a raggiungerlo in quelle altezze?
Dalla formazione al papato
Ordinato sacerdote il 29 giugno 1951, Joseph Ratzinger conseguì un dottorato in teologia con una tesi su sant’Agostino e fu abilitato alla docenza con una tesi su san Bonaventura. È stato docente a Frisinga, Bonn, Muenster, Tubinga e Ratisbona e ha avuto un ruolo da esperto al Concilio Vaticano II.
Paolo VI lo ha nominato, nel 1977, arcivescovo di Monaco e il 27 giugno lo ha creato cardinale. Da vescovo il suo motto era: “Collaboratore della verità”.
Ha partecipato ai conclavi del ’78, quando fu eletto papa Luciani, e dell’81, quando divenne papa Wojtyla, che prese il nome di Giovanni Paolo II. Fu proprio il pontefice polacco a nominarlo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Divenne anche presidente della commissione per la preparazione del Catechismo della Chiesa cattolica, vice decano e poi decano dei cardinali.
Fu eletto papa il 19 aprile del 2005.
Gli scritti che ha donato alla Chiesa
Tre sono state le encicliche che ha scritto da pontefice: Caritas in veritate (2009), Spe salvi (2007), Deus caritas est (2005).
Importante la sottolineatura del legame tra amore e verità: per Benedetto, l’amore senza verità è mero buonismo, mentre la verità senza amore uccide. Gesù, che è via d’amore e di verità, riesce a tenere in armonia questi due aspetti essenziali per la nostra vita. Anche noi siamo chiamati a un simile equilibrio.
Al centro della sua missione da teologo c’è stato l’impegno ad aiutare le persone a credere realmente nell’esistenza di Dio. Aveva capito che per far questo bisognava mettere al centro colui che Dio lo ha rivelato: Gesù. Da qui, lo slancio che diede alla dimensione cristocentrica della nostra fede.
Fra le opere magistrali che scrisse, ricordiamo i tre volumi dedicati ad approfondire la figura di Gesù di Nazareth.
Ricordo ancora quando un docente di teologia fondamentale della Pontificia Università della Santa Croce a Roma diceva a noi studenti: “Il cristianesimo non è un insieme di regole, è l’incontro con una persona viva, Gesù”. Poi affermava che questa svolta nel pensiero teologico e questa marcatura, si dovevano, in gran parte, proprio al magistero di Benedetto.
In quei volumi – che segneranno per sempre un prima e un dopo Ratzinger -, il pontefice mostra infatti come la fede non sia un elenco di proibizioni ma un rapporto di amicizia con il Dio fatto uomo.
Il legame con Giovanni Paolo II e l’apertura al mondo
Ricordo anche che i miei professori affermavano: “Giovanni Paolo II lo voleva sempre vicino. Quando c’era da scrivere un documento decisivo o da preparare un discorso importante desiderava attingere dalla sua saggezza”.
Benedetto XVI è stato un uomo discreto ma decisivo, che molti ricordano come “buono”, “capace di ascolto” e “maestro nel predicare anche sui temi più complessi”.
In quasi otto anni da papa ha incontrato milioni di persone, ha svolto molti viaggi internazionali seguendo le orme del predecessore.
Oltre all’opera intellettuale, ricordiamo l’impegno su molti fronti: dalla povertà in Africa ai giovani, dall’ecumenismo alla lotta contro il malcostume nella Chiesa. Ha investito tempo ed energie – non senza subire pesanti attacchi – contro la pedofilia del clero, imponendo nuove norme per combattere efficacemente questa piaga nella vita ecclesiale.
La statura di un uomo che si fa bambino davanti a Dio
Personalmente, per quel poco che possa contare, ho amato Benedetto e, da figlia della Chiesa, mi sento in debito con lui.
Quando lo mettono a confronto con Francesco, mi sale una profonda tristezza. Perché preferire uno o l’altro, invece di cogliere la specificità e la ricchezza di ognuno?
Dio dispensa doni peculiari a ciascuno di noi. E di doni, Ratzinger, ne ha ricevuti e fatti fruttare molti.
Che Dio accolga per sempre quell’“umile lavoratore della vigna del Signore”, come amava definirsi, e permetta a noi di far tesoro di tutto quello che ci ha lasciato.
Sull’esempio di Benedetto, anche la nostra vita possa concludersi come bambini tra le braccia di Dio, mentre sussurriamo, con le ultime forze rimaste, “Gesù, ti amo”.
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