Giovani

L’amico che ride di te non è un vero amico

Un giovane ubriaco rischiava la salute e gli “amici” lo vedevano solo come un fenomeno da baraccone da filmare e con ogni probabilità da svergognare sui social. Dove è finito il valore dell’amicizia? 

Il 18 aprile scorso, che quest’anno era il lunedì dell’angelo, io e la mia famiglia siamo andati a Senigallia con degli amici. Dopo pranzo abbiamo deciso di fare una passeggiata sul lungomare e i bambini, attratti dalla sabbia come una calamita dal ferro, hanno iniziato a giocare, a scavare buche, a fare scivoli e altalene sporcandosi in ogni angolo del corpo (dov’è il bello, sennò?). Ad un certo punto, mentre ci trovavamo a seguire i nostri figli che schizzavano da una parte all’altra (con l’euforia tipica di quando rivedono il mare dopo mesi) in lontananza abbiamo visto un ragazzo senza vestiti buttarsi in acqua.

Deridere invece di aiutare: questa non è amicizia.

Erano 12 gradi e c’era un vento che ti faceva venire il dubbio se fosse sul serio il giorno dopo Pasqua e non il giorno dopo Natale. Subito ho pensato, d’istinto, che si trattasse di uno straniero: “Solo se sei tedesco puoi fare il bagno con questo freddo”, ho detto a mio marito.  “Oppure se hai bevuto una botte di vino…”, mi ha risposto un altro papà, che correva come noi dietro al figlio da un gioco all’altro su quella spiaggia. Il ragazzo, in effetti, era ubriaco: per questo si trovava mezzo nudo a fare il bagno subito dopo pranzo, con un vento forte che infastidiva pure chi stava col piumino. Ma la tristezza più grande è stata vedere i suoi “amici” che riprendevano tutto con il telefonino, in mezzo a battute e risate, invece di aiutarlo a non mettersi in pericolo. Un giovane ubriaco rischiava la salute e gli “amici” lo vedevano solo come un fenomeno da baraccone da filmare e con ogni probabilità da svergognare sui social. Una volta uscito dall’acqua, ancora senza vestiti, ha iniziato a rotolarsi sulla sabbia. E i suoi compagni di comitiva erano tutti intorno, a sghignazzare, invece di coprirlo. Magari quel ragazzo – abituato anche da sobrio a fare lo show – si sarà rivisto il giorno dopo e avrà riso delle cretinate fatte con l’alcol in corpo, ma questo non toglie che dei giovani adulti (sicuramente avevano tutti più di vent’anni) hanno pensato di ridere di lui, senza impedirgli di farsi del male. Lo hanno ripreso, invece di fermarlo. Invece di portarlo a casa, di farlo ragionare, di farlo rimettere in sesto. Sarebbe potuto finire in ospedale: e loro stavano là, semplicemente a ridere, con un telefono in mano. 

Leggi anche: Un selfie con Huggy Wuggy? Meglio di no

Amico è chi ti cammina affianco, chi vede con te la stessa verità. L’amicizia è una cosa seria.

Proprio in quei giorni, per un lavoro di ricerca, mi era capitato di leggere il manuale di Lewis I quattro amori. Affetto, amicizia, eros e carità, dove si spiega la differenza tra le diverse relazioni della nostra vita e si mostra che l’amicizia è una cosa seria. Una forma di amore, appunto. Avere un amico significa camminare nella stessa direzione con lui, vedere con la stessa verità sulla vita. L’amicizia non è un di più, non è qualcosa di cui si può fare a meno, abbiamo bisogno di vere amicizie per essere felici. Quella scena, però, mi ha fatto pensare a quanto poco si può essere educati all’amicizia. Parliamo spesso di “amore tra persone dello stesso sesso” ma si fatica a ragionare sul fatto che anche l’amicizia è un tipo di amore – anche tra persone dello stesso sesso – e merita di essere vissuta meglio di così. Non che non ci siano esempi meravigliosi, anche nelle nuove generazioni, di legami autentici. Esistono amicizie sincere, vere, belle. Però credo che sia urgente e fondamentale spiegare ai nostri figli e ai ragazzi che ci sono affidati in ogni campo che essere “amico” di qualcuno significa che mi preoccupo di lui e del suo bene, che lo aiuto a tirare fuori il meglio – non il peggio – di sé. Perché questo – e non ridere sui social delle bravate che fa – mi fa sentire bene, pieno, e colora di bellezza la mia vita.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

ANNUNCIO


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.