Giovani e missione

Il Signore chiama e non aspetta che siamo adulti per farlo…

Emilio Nappo

di Emilio Nappo

Mi chiamo Emilio, ho 19 anni appena. A tutti i miei coetanei vorrei lanciare un messaggio: ragazzi, abbiamo voluto vivere senza Dio condannando a prescindere l’insegnamento della Chiesa, talvolta anche senza conoscerlo sul serio. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Perché ora non tornare a casa?

Mi chiamo Emilio, a dicembre compirò 19 anni. Sono nato e cresciuto in una famiglia cristiana dove ogni decisione importante va presa davanti alla Bibbia che è sul mobile della sala da pranzo, in bella mostra come il faro che illumina tutta la nostra casa. 

Forse anche per questa sensibilità che i miei genitori mi hanno trasmesso il 17 febbraio dello scorso anno sono partito per il Burkina Faso, una delle zone più povere dell’Africa. Inizialmente ero un po’ restio all’idea di affrontare questo viaggio così impegnativo non avendo io preso nemmeno mai l’aereo. Questo doveva essere un anno di studi per me, l’anno in cui dovevo iniziare l’università. Eppure non avendo superato i test di ingresso alla Facoltà di Scienze infermieristiche ho deciso di dedicare questo tempo a vivere delle esperienze formative sì, ma per la coscienza. E subito ecco arrivarmi la richiesta da parte di Andrea, mio catechista, di partire per il Burkina Faso. Nel giro di poco, dopo un’intensa preghiera frutto del suggerimento della mia guida spirituale, ho capito che il Signore mi chiedeva di partire come missionario in quella terra. Ero stato proprio io a chiedergli di scomodarmi dopo aver partecipato alla beatificazione ad Assisi di Carlo Acutis, e si sa, Dio ci prende sempre in parola! 

La testimonianza del giovane Acutis mi aveva aperto il cuore. Perché se lui aveva vissuto una così intensa vita spirituale, io non potevo fare lo stesso? E soprattutto cosa voleva dirmi il Signore chiedendomi di partire per una terra così lontana e diversa dalla mia? Mi sono ritrovato a fare i bagagli in fretta e furia, dopotutto noi giovani facciamo tutto in fretta in furia. In un attimo organizziamo viaggi on the road con un sacco a pelo in spalla e nessuna garanzia. Solo quando si tratta di Dio chiediamo garanzie e ci teniamo a sapere tutto in anticipo e senza sorprese finali. Per questo viaggio ho deciso di non chiedere nulla. Mi sono semplicemente fidato e affidato.

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L’Africa ti colpisce da subito, perciò è difficile spiegarla a chi non ci è stato. Appena scendi dall’aereo ti rendi conto di quanto sia diverso l’ambiente, il clima, le persone, tutti ti sorridono e ti salutano e l’accoglienza è calda e festosa. Dalle nostre parti non siamo abituati ad accogliere i visitatori. A fare festa per chi viene a trovarci. Sono stato in alcuni villaggi, dall’Arcivescovo, in altre comunità religiose, ad un matrimonio e sono stato accolto sempre in modo molto energico e allegro. In quei luoghi ho bevuto l’acqua dell’accoglienza, un bene prezioso che viene offerto agli ospiti, quasi a stringere un patto di vera fratellanza. Il popolo africano ha un modo tutto speciale di relazionarsi, se vedono qualcuno in difficoltà lo aiutano a prescindere da tutto: dal credo, dal modo di vestire, dall’età e sono proprio loro che hanno reso la mia esperienza veramente incredibile. I loro occhi ti parlano di storie da pelle d’oca, non si scoraggiano e vanno avanti col sorriso sul volto. Vivono una fede partecipata, credono in Dio in un modo così semplice e profondo che più di una volta ho dubitato di me stesso, mi sono chiesto se davvero stessi vivendo bene la mia fede. Nei licei, ad esempio, sono i ragazzi stessi a richiedere momenti di preghiera e partecipano tutti attivamente alla vita comunitaria così come nei villaggi e nelle parrocchie. Una cosa straordinaria se pensi che nelle nostre scuole dobbiamo lottare per tenere il crocifisso alle pareti. Spesso dopo la Messa inizia un tempo di adorazione. Un momento così intenso da far venire i brividi. Quando Gesù Eucaristia viene esposto è accolto tra applausi e urla delle donne africane. Lo salutano con le mani e con tutto il corpo e lo stesso quando viene deposto. Nel mentre si sentono canti che sembrano venire dalla terra per quanto sono profondi. Non basterebbero poche righe per condividere questa esperienza, avrei voluto rimanere lì in Africa per vivere la semplicità e la profondità del cuore africano, ma sono dovuto tornare perché ancora non è tempo. Ho bisogno di riflettere e di capire il mio futuro, credo che tornerò in Africa molto presto, perché c’è tanto da fare e sarei felice di poter contribuire al progetto “Cittadella della carità” che sta prendendo forma. Un progetto grande che porterà tanto bene ed io vorrei farne parte, intanto continuo a vivere la mia fede con maggiore consapevolezza e il 30 maggio ho avuto la grazia di ricevere il dono della Confermazione che ho desiderato tanto. È stato meraviglioso poter concludere questo anno liturgico, così speciale per me, dicendo il mio piccolo al Signore della vita che per mano mi guida fin da quando ho iniziato a muovere i miei primi passi. Ed ora chiedo a Lui di portarmi dove vuole. Gli chiedo la forza di continuare a rispondere ad ogni sua chiamata. Perché il Signore chiama non solo a diventare sacerdoti o suore, ma anche a diventare missionari, mariti, mogli, fidanzati, lavoratori onesti. Il Signore chiama e non aspetta che siamo adulti per farlo. A tutti i miei coetanei vorrei lanciare un messaggio: ragazzi abbiamo voluto vivere senza Dio condannando a prescindere l’insegnamento della Chiesa, talvolta anche senza conoscerlo sul serio. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Perché ora non tornare a casa?




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