Non era possibile che stesse capitando di nuovo. Era già successo a sua cognata appena qualche anno prima, se ne era andata via sotto i suoi occhi impotenti e poco dopo il bambino che aveva dato alla luce, l’aveva seguita nell’eternità. La loro morte era stata un’odissea per tutta la famiglia, avevano affrontato il dramma senza forse esserne mai veramente usciti: un dolore come quello non si dimentica, ci si convive forse e quasi sempre non è una facile convivenza.
Ora stava succedendo di nuovo e questa volta a sua moglie. Aveva partorito da poco la loro quarta bambina, non avevano fatto in tempo ad esultare però che Rosa si era sentita male all’improvviso e i medici l’avevano riportata in sala operatoria. Un’ emorragia, avevano detto così prima di scappare lasciandolo solo sospeso in bilico sul baratro del vuoto. Le cose succedono perché succedono, non c’è sempre una spiegazione, anzi non c’è mai una spiegazione razionale alla morte o al dolore e ora toccava a lui. La stavano operando, sapeva solo questo, ma non bastava. Pasquale si sentiva un leone in gabbia, consumava il pavimento di quel corridoio angusto tenendo lo sguardo fisso sulla luce rossa della camera operatoria. Intorno a lui c’erano parenti e amici, ma lui sentiva solo il deserto dentro. Una vallata di terra arida che inghiottiva ogni speranza.
Avevano quattro figli, lui e Rosa, ancora piccoli e lui continuava a chiedere a Dio di restituire la loro madre; non era una motivazione sufficiente ad evitarle la morte lo sapeva, in fondo la sua Rosa aveva deciso di dare alla nascitura il nome di Santa Zelia Guerin Martin, la madre di santa Teresa di Lisieux, a lei per prima non era stata risparmiata una morte prematura, dato che si era spenta per un tumore quando la piccola, grande Teresina era ancora una bambina. Morte prematura? E chi può dire se una morte è prematura oppure no? In fondo il tempo è di Dio. È Lui a scandire le ore, è Lui che conta i giorni noi possiamo solo vivere come se ogni momento fosse l’ultimo. Quando ti succede una cosa del genere ripensi a tutti i momenti sprecati, a quante volte avevano litigato per cose stupide. Quante cose le aveva detto che non pensava, parole dettate dalla rabbia del momento, e ora che sentiva il peso della sua assenza gli sembrava di morire.
Mentre Pasquale rivedeva la sua quotidianità in una somma indistinta di flashback, la luce del blocco operatorio divenne verde. Il medico venne incontro con la faccia desolata, informò che aveva dovuto asportare utero e ovaia, che ora potevano solo aspettare e vedere come reagiva. Pasquale cercò una domanda da fargli, una risposta nei suoi occhi che gli desse un po’ di serenità, lui attese qualche istante ma non disse nulla, strinse le labbra e abbassò la testa come a voler comunicare: “Ho combattuto contro la morte per tua moglie. Ora la sua vita non dipende più da me”. Quando lui se ne andò, Pasquale piombò di nuovo in quel deserto del cuore. Non era cambiato nulla, la vita di sua moglie era ancora attaccata ad un filo anche se quella benedetta luce ora era verde e davanti a lui aveva solo una lunga notte di spasmodica attesa. Litigò con Dio, quando l’attesa diventava insostenibile e la paura gli spezzava il respiro. Uno dei suoi fratelli di comunità gli toccò il braccio, richiamando la sua attenzione, sulle reliquie dei santi Luigi e Zelia Martin che avevano portato in ospedale. Cosa potevano fare un paio di piccoli ossicini contro il dolore di un marito che sta perdendo la sua sposa?
Poi ci pensò un attimo: sua moglie aveva sempre creduto ai miracoli, tutto quello che doveva fare lui in quel momento era fidarsi della sua fede? Prese l’astuccio che conteneva le reliquie e lo nascose in una tasca, da lì a poco lo avrebbero fatto entrare in sala rianimazione per vederla. Solo pochi istanti, gli avevano detto e a lui sarebbero bastati. Forse qualcuno gli avrebbe dato del pazzo a credere che i poveri resti delle spoglie mortali dei Santi Martin potessero essere davvero risolutivi nella condizione in cui si trovava la sua povera moglie, forse nessuno ci crede più ai miracoli e soprattutto in quel reparto, una zona grigia sospesa tra questa terra e l’aldilà. Si avvicinò al lettino dove lei giaceva inerme, attaccata ad un respiratore e in un attimo di distrazione degli infermieri le mise la custodia con le reliquie dei santi sotto una mano. Vide apparire una smorfia sul suo viso, le chiese se lo sentiva, ma lei non rispose. Non si mosse. Cosa avrebbe dato per sentirla urlare ancora una volta! Quando si lamentava perché come al solito perché aveva lasciato tutto in disordine e rimproverava per questo o per quello. Le disse che l’amava, che glielo avevo detto troppo poco nella loro vita insieme e che se poteva permettersi di esprimere un desiderio era di avere una possibilità per dirglielo ancora una volta. Lei non si risvegliò. Non in quel momento. Le reliquie dei coniugi Martin furono esposte nella piccola cappella dell’ospedale dove restarono tutta la notte. Le regole del nosocomio non potevano entrare in quella terra consacrata, non c’era nessuno che ti chiedesse di uscire, nessun orario di vista, nessuna guardia a fare da sentinella. Decine di persone anche lontane dalla Chiesa e dalla fede in quella lunga notte si susseguirono senza sosta fino all’alba in un caparbio, incessante e accorato appello al Padre. Non sappiamo cosa sia accaduto, non possiamo spiegarlo e forse non dobbiamo perché un miracolo non ha spiegazioni. Un paio di giorni dopo la sua sposa era di nuovo vigile, miracolosamente fuori pericolo. Concludo questa storia con le parole di Pasquale: “Quando la vidi con la piccola Zelie tra le braccia, la nostra bambina appena nata, ripensai a quelle reliquie, a quanto era stata preziosa la loro discreta presenza nel buio del mio dolore. Abbiamo ricevuto una seconda occasione, non sappiamo perché ci è stata concessa. Niente è scontato a questo mondo, la vita come la morte, abbiamo una sola certezza: tutto parte da Dio e tutto a Dio ritorna”.
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