CORRISPONDENZA FAMILIARE
Jean e Lucette, storia di un amore folle
24 Gennaio 2022
Jean e Lucette hanno adottato e nutrito di amore 18 bambini. L’associazione che hanno fondato ha permesso a duemila minori – e tra questi 800 affetti dalla Sindrome di Down – di trovare l’amore di un padre e di una madre.
Jean e Lucette Alingrin si sono conosciuti nel 1947, sulla soglia della giovinezza: avevano rispettivamente 18 e 17 anni. Uscivano da una terribile guerra che aveva lasciato tante ferite ma aveva anche suscitato il desiderio di dare un volto nuovo alla storia. Nella periferia parigina, dove vivono i due giovani, non mancano le persone che hanno bisogno di aiuto. È qui che avviene il primo tirocinio di una vita che, negli anni successivi, sarà plasmata dalla carità più eroica.
L’amore non è mai prigioniero della realtà, al contrario mette nel cuore grandi ideali, più grandi di quelli che possiamo realisticamente realizzare. In quel momento l’unico sogno era quello di creare una famiglia numerosa, una casa piena di vita. Nel 1950 si sposano, l’anno dopo nasce Maria. La vita sembra camminare per i sentieri ordinari di tante altre coppie. Ma il buon Dio ha qualcosa in serbo per loro, qualcosa che essi non possono conoscere in anticipo. Il Signore guida i loro passi con prudenza.
Nel 1953 arriva una nuova gravidanza. I misteri della gioia lasciano ben presto il posto a quelli del dolore: il bambino muore prima di vedere la luce e l’interruzione purtroppo causa problemi gravi che chiudono definitivamente le porte alla vita. Le parole del medico suonano come una sentenza che spegne sul nascere l’ingenuo sogno dei giovani sposi. La sterilità appare come una ferita permanente. In realtà proprio quando le tenebre si addensano e sembrano soffocare la speranza, Dio accende la luce. Il Vangelo ricorda che nel cuore della notte risuona il grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!” (Mt 25,6). Quando tutto sembra finire, inizia la grande avventura.
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In quello stesso anno decidono di trasferirsi ad Angers. Il desiderio di mettersi al servizio della vita non è venuto a mancare, la volontà di una famiglia numerosa trova altre forme di espressione. Nel 1956 iniziano ad accogliere bambini, una sorta di affido ante litteram. Nel 1960 adottano un piccolo, il primo di una lunga serie. Tre anni dopo una seconda adozione. Nel 1965 la casa accoglie un adolescente che vi resta per cinque anni. Nel 1967 la svolta decisiva. Dal Libano arriva la richiesta di accogliere cinque bambini affetti da disabilità, e tra questi la piccola Emmanuelle, appena sei mesi, affetta da poliomielite.
Fino a quel momento Jean e Lucette hanno risposto con eroica generosità ma quell’appello supera di gran lunga quello che essi possono realisticamente fare. E tuttavia, non si tirano indietro, la loro vita è ormai totalmente immersa nel mare della carità. Accettano la sfida ma sanno che non possono più fare tutto da soli. Chiedono aiuto e trovano sostegno: quattro di quei bambini vengono adottati da famiglie della zona, Emmanuelle resta con loro e dà il nome all’opera che, proprio quell’anno, vede la luce: “SOS-Emmanuel-Adoption”.
Da quel giorno, sospinti da una carità inesauribile, i due sposi s’impegnano ad accogliere e a dare una famiglia a bambini con disabilità. Il loro coraggio fa scuola, suscita e sostiene la disponibilità di tanti altri sposi che aprono le porte della casa per stringere tra le braccia bambini che portano nella carne le ferite dell’umana fragilità e nel cuore un desiderio ancora più ardente di essere amati. Jean e Lucette hanno adottato e nutrito di amore 18 bambini. L’associazione che hanno fondato ha permesso a duemila minori – e tra questi 800 affetti dalla Sindrome di Down – di trovare l’amore di un padre e di una madre.
Numeri impressionanti in una società che ha fatto della perfezione una regola non scritta. C’è abbastanza materiale per scrivere un romanzo e/o fare un film. Non si tratta solo di un’edificante opera sociale, Jean e Lucette hanno messo in pratica quella fede che avevano ricevuto fin da ragazzi grazie alla presenza di sacerdoti che hanno loro trasmesso il fuoco di Dio: “Uomini di Dio che ci hanno generato in Cristo in modo definitivo”, come ha testimoniato Jean alcuni anni fa.
Ha perfettamente ragione, senza la fede, senza questa fede che ha sfidato l’impossibile, non avremmo mai avuto un’avventura come quella che ha riempito i loro giorni. Senza il Vangelo, che invita a riconoscere nel più piccolo dei fratelli il volto stesso di Dio, questa storia non sarebbe mai nata o sarebbe rimasta nel libro dei sogni. La coscienza della solidarietà non basta, per fare dell’amore coniugale il grembo della carità è necessario prima di tutto accogliere Gesù Cristo. È Lui che fa il resto, se gli diamo la libertà e l’autorità di agire. Lui solo può cambiare l’acqua in vino e fare dell’amore coniugale un fuoco che consuma ogni egoismo e dona la grazia di amare e servire lungo tutti i giorni della vita. Jean e Lucette, 93 e 92 anni, sono testimoni viventi di un miracolo, la loro vita è il segno visibile di quell’amore folle che Dio vuole donare a tutti.
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