Sant’Ignazio di Loyola, Natale, Incarnazione, Compagnia del Gesù
21 Dicembre 2021
Ricordate sant’Ignazio di Loyola? Il fondatore della “Compagnia del Gesù”. Una figura antica che ci aiuta a riscoprire l’essenza del Natale nella maniera più semplice e straordinaria: l’incarnazione di Dio in un bambino.
«Ricordare come da Nazaret partirono nostra Signora incinta di quasi nove mesi, seduta in groppa a un’asina, e Giuseppe e un’ancella, conducendo un bue, per andare a Betlemme a pagare il tributo che Cesare impose in tutte quelle terre… Vedere, con la vista dell’immaginazione, la strada da Nazaret a Betlemme, considerando la lunghezza, la larghezza, e se tale cammino sia piano o se per valli o pendii; similmente, osservando il luogo o grotta della natività, vedere quanto sia grande, piccolo, basso, alto, e come era sistemato… Vedere le persone: nostra Signora e Giuseppe e l’ancella e il bambino Gesù, dopo che è nato; facendomi io poverello e indegno servitorello che li guarda, li contempla e li serve nelle loro necessità come se fossi presente, con ogni possibile rispetto e riverenza; osservare, notare e contemplare quello che dicono; e, riflettendo in me stesso, ricavare qualche frutto… Guardare e considerare quello che fanno, com’è camminare e darsi da fare perché il Signore venga a nascere in somma povertà e, dopo tante sofferenze di fame, sete, caldo e freddo, ingiurie ed oltraggi, muoia in croce. E tutto questo per me».
Stavolta citazione più lunga del solito, tratta dagli Esercizi spirituali del basco sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), il fondatore dell’ordine che militarmente volle chiamare “Compagnia di Gesù”. Ignazio era stato infatti un soldato, un condottiero. Ferito gravemente in battaglia, tanto da rimanere zoppo per tutta la vita, chiese di poter leggere durante la lunga convalescenza qualche romanzo cavalleresco, ma gli furono procurate solo la Vita di Cristo del certosino Ludolfo di Sassonia e la Legenda Aurea che per opera del domenicano Jacopo da Varazze raccoglie oltre 150 vite di santi. In questi libri Ignazio ritrova il senso epico delle trascorse avventure militari ma applicate a una dimensione ben più autentica ed entusiasmante.
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Durante un lungo periodo di ritiro in una grotta di Manresa, nell’aspro entroterra di Barcellona, Ignazio matura pienamente la sua conversione, concependo i suoi famosi Esercizi spirituali, fondamento non solo della spiritualità della Compagnia ma anche della sensibilità di tutta un’epoca, quella della Controriforma, in cui gli storici colgono anche una componente di “Riforma cattolica”: rinnovato slancio missionario, carità materiale (assistenza ai poveri, ospedali) e spirituale/intellettuale (formazione religiosa, scuole, collegi). Un’attenzione particolare fu portata alla cultura, considerata un importante veicolo di promozione del cattolicesimo: di qui per esempio il teatro gesuitico, per la formazione dei giovani, e la fastosa arte barocca che doveva garantire anche ai poveri quello splendore di immagini e sculture in precedenza riservato ai signori, con i loro raffinati palazzi e le loro collezioni esclusive.
Di qui per esempio le possenti scenografie del barocco romano, come il colonnato di San Pietro del Bernini oppure la napoletana Cappella Sansevero, un vero scrigno di capolavori tra cui il celebre Cristo velato del Sanmartino, la cui bellezza toglie il fiato.
Nel mondo cattolico germanico, dall’Alto Adige in su (compresi i cantoni svizzeri che non aderirono al Protestantesimo), prevale invece un barocco straripante di stucchi in un tripudio di forme che pare creato da un gran pasticcere… Ma entrambe le forme obbediscono all’impulso ignaziano ben descritto nella citazione di apertura: un’arte che deve colpire i sensi, deve poter essere toccata, annusata, assaporata, udita. Qui il segreto dell’Incarnazione, per cui Dio non è rimasto puro spirito, ma è Verbo tanto umile da farsi Carne in un bambino.
«Vedere, con la vista dell’immaginazione», dice sant’Ignazio: è un bel sussidio alla nostra preghiera che troppe volte (parlo per me) si distrae in pensieri tanto astratti da essere irreali. E invece il Natale è qui a dirci di un piccolo Dio che nasce accolto da umili pastori, in un buon odore di biada e latte, magari anche di letame (la cui radice è dopotutto nel latino laetus: perché nutre e rallegra i campi esausti).
Ed è anche un bel modo di rivivere il Natale, contemplando il presepe alla maniera di san Francesco, che ne fu l’inventore. E alla maniera di un altro Francesco: il papa gesuita, le cui parole – memori dell’insegnamento ignaziano – sono sempre icastiche, fanno vedere i concetti rendendoli fruibili al popolo di Dio e persino a certi intellettualoni che scrivono sui giornali.
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