“Mi vergogno di sposarmi in Chiesa, perché convivo ed ho un figlio”

Chiesa

Quante sono le coppie che si sentono escluse dall’abbraccio della Chiesa perché convivono da anni? Tantissime e a queste coppie vorrei dire: non è mai troppo tardi per invitare Gesù al vostro matrimonio. 

Io e Clarissa non avevamo un’amicizia stretta, ma un giro comune. Un giorno ci trovavamo entrambe ad una festa e ci siamo messe a parlare. “Sai, leggo sempre i tuoi articoli per le coppie e quello che scrivi su Facebook. – mi ha confessato per la prima volta – Passo poco tempo sui social, ma se scrivi qualcosa tu non riesco ad andare oltre, soprattutto quando parli dei santi! Mi hanno toccato tanto Gianna Beretta Molla, Carlo Acutis e poi l’ultima… Sandra Sabattini. Ogni volta che ne citi uno nuovo, vado a documentarmi, a leggere la loro storia. Mi sei di stimolo, sai? Ti abbiamo pensato per aiutarci a scegliere le letture per la Messa del nostro matrimonio… Ti andrebbe?”. Lei e il suo compagno, infatti, si sarebbero dovuti sposare due mesi dopo. Ammetto che mi ha sorpreso sentirla parlare così, vedere i suoi occhi illuminarsi mentre parlava di santi… Non me l’aspettavo. Nella mia pochezza, me l’ero immaginata “lontana dalla fede”. Quel giorno, invece, ho percepito la sua meravigliosa sete di Dio, il bisogno di speranza che abitava il suo cuore, la voglia di camminare nel Bene… e le ho detto che l’avrei aiutata volentieri.

Sposarsi in Chiesa… per rimanere nella Chiesa

Dopo quella festa io, mio marito, Clarissa e Luciano (il suo compagno) abbiamo deciso di vederci per riflettere insieme sulle letture e sui canti per la cerimonia. È stato un incontro molto bello per tutti (anche per i nostri bimbi, che hanno giocato assieme). Clarissa ci ha confessato che le mancava frequentare la Chiesa, che prima lo faceva, poi aveva smesso ma voleva ricominciare. Sentendo i canti che le ho proposto per la liturgia si è commossa, ricordandosi quando andava a Messa da bambina. “Dovremmo creare qualcosa per le coppie, per parlare di Dio insieme e per condividere la fatica del matrimonio… – ci ha detto, poi – Il corso prematrimoniale è stato bellissimo, stimolante, ma è durato troppo poco! Si dovrebbe proseguire anche dopo! Abbiamo bisogno di un ambiente dove maturare, non va bene che dopo il matrimonio si resta da soli…”. E come darle torto? Non è proprio questo il senso di essere… chiesa? L’ho appoggiata subito, condividendo il suo entusiasmo e dicendo che dovevamo pensare a qualcosa. Clarissa e Luciano erano contentissimi, sognando il giorno delle loro nozze. Ma c’era un neo, in quella gioia… 

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“Mi vergogno di sposarmi, perché convivo ed ho un figlio”

Poco prima di andare via, lei ha condiviso con me un peso che portava dentro: “Devo dirti la verità, io mi sento un po’ a disagio a entrare in chiesa per sposarmi…”. “Perché?”. “Perché ho un bambino. Non ho scelto l’abito bianco. L’abito bianco ha un significato particolare e per noi quel significato non può averlo più… Inoltre, lo ammetto, ho paura di essere giudicata: non mi sento a posto, so di aver fatto le cose in un ordine diverso da quello che dovrebbero avere… Però credimi, mi sposo in Chiesa perché ci credo, sennò non lo avrei fatto. Nessuno ci obbligava, potevamo anche rimanere così o ufficializzare solo in comune… Ma noi ci crediamo. Abbiamo fatto il corso prematrimoniale con grande interesse e diamo al sacramento tanto valore! Abbiamo anche chiesto a don G. se può farci un paio di incontri in più, prima del matrimonio, vogliamo essere sicuri di viverlo appieno!”. Clarissa sentiva che l’amore del Signore poteva consolidare il loro rapporto e avvertiva che non era lo stesso “convivere di fatto” o scambiarsi promesse eterne, davanti a Dio. Mi ha colpito molto la sua confidenza e mi sono permessa di dirle: “Hai ragione, potevate continuare a convivere, invece volete ricevere la consacrazione del Signore, in tempo di pandemia, nonostante una storia avviata da 14 anni, una casa, un figlio. Voi testimoniate una cosa preziosa: che con Gesù o senza Gesù non è lo stesso Che manca qualcosa, anzi Qualcuno. Sono sicura che Dio è felice di vedere che volete coinvolgerlo. Vi stava aspettando!”.

Accompagnare invece che condannare

Clarissa, senza saperlo, mi ha fatto riflettere su una cosa alla quale non avevo mai pensato. Ovvero che chi convive da tempo possa sentirsi escluso dall’abbraccio della Chiesa, come se la scelta compiuta li rendesse “indegni” dell’amore del Signore. Invece non è così. Gesù si è fatto carne per tutti. È venuto prima di tutto per chi pensa di essere più lontano. Dobbiamo dire la verità, certo. E per la Chiesa il matrimonio è a fondamento della vita sponsale, non la punta dell’iceberg; ma non dobbiamo dimenticare che la Verità serve a “liberare l’uomo”, non a farlo sentire inutile, fallito, escluso, inferiore a qualcun altro, inadeguato, perduto. 

Dio vuol essere a fondamento della nostra unione di sposi per sostenerci e avviare con noi un cammino bello quanto difficoltoso, ma non guarda con disprezzo a coloro che ancora non l’hanno capito: al contrario, li cerca e li aspetta. Se conviviamo e crediamo che ormai sia “inutile sposarci”, dovremmo sapere questo: non è mai troppo tardi per invitare Gesù alle nostre nozze.




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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