“Mi hanno detto: tu sei gay e sembrava che non potesse essere diversamente”
Poco tempo fa ascoltavo la testimonianza di Luca Di Tolve. Attivista gay per anni, poi ha vissuto il passaggio all’eterosessualità. Nessuno lo ha costretto anzi, nel suo caso erano tutti pronti a sostenere la sua libertà. Peccato che pochi si siano preoccupati di ascoltare davvero quel ragazzo. Ora mi domando: tra le varie libertà da difendere è compresa anche quella degli “ex omosessuali” o degli omosessuali cattolici?
Questi giorni ho avuto modo di riflettere sul tema dell’omosessualità perché sono stata circondata di persone, manifestazioni, post in favore del Ddl Zan, proposta di legge ormai respinta definitivamente.
Non sono una psicologa, una terapeuta, né un medico o un giurista e non posso dire di conoscere a fondo la tematica (per questo cerco di ascoltare e documentarmi molto, mantenendomi il più possibile umile e cauta).
Proprio in questi giorni, tuttavia, mi sono domandata: tra le varie libertà da difendere in queste manifestazioni, è compresa anche quella degli “ex omosessuali” o degli omosessuali cattolici? Perché mi chiedo questo? Perché – seppure se ne parli pochissimo – si verificano spesso atti di bullismo e coercizione, insulti e discriminazioni verso questa specifica categoria di persone.
I promotori del Ddl Zan sostengono che debba essere permesso a tutti di pensare e vivere ciò che vogliono in materia sessuale: si battono per il rispetto di ogni orientamento (seppure ciò sia già garantito dal nostro ordinamento giuridico…). Ad ogni modo, mi lascia perplessa il fatto che non sembra permesso – senza essere insultati – avere tendenze omosessuali e non volerle assecondare (scegliendo la castità, come ha fatto lo scrittore e insegnante Giorgio Ponte) o recuperare una tendenza eterosessuale dopo aver vissuto una vita gay. In quel caso sei un pazzo, un omofobo interiorizzato, un castrato e non solo: non puoi parlare, perchè diventi “pericoloso per gli altri”, con il tuo esempio. La libertà assoluta sul proprio corpo (fino ad appoggiare la scelta di cambiare sesso con un’operazione chirurgica) vale solo se sei allineato al pensiero unico: ovvero che il dato biologico non conta nulla.
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“Luca era gay”: avete mai ascoltato questa canzone di Giuseppe Povia? Non mi ritengo una sua fan (conosco tre sue canzoni in totale) e non la pensiamo nello stesso modo su parecchi argomenti… tuttavia, la sua vicenda mi ha incuriosito dal punto di vista giornalistico. Il cantante è stato tacciato di omofobia da moltissime associazioni gay e perfino da esponenti del mondo politico, per aver raccontato una storia vera. La storia di un uomo che aveva trovato nell’omosessualità non una via di felicità ma un rifugio. Secondo l’Ordine degli Psicologi italiani, che hanno analizzato il testo, l’uomo in questione “non era neppure gay, ma credeva di esserlo”. A questa obiezione il cantante ha risposto così: il tale che gli ha raccontato la sua storia è stato attratto solo ed unicamente dagli uomini per 22 anni coi quali ha avuto relazioni sessuali; è diventato attivista e si è impegnato a difendere i diritti del mondo LGBT. Insomma, se non era gay, era abbastanza convinto di esserlo. Ce lo chiediamo perché accade questo? Perché persone che non sono gay credono di esserlo per più di due decenni?
Poco tempo fa ascoltavo su YouTube la testimonianza di Luca Di Tolve, che ha raccontato la sua storia al Meeting di Rimini. Lui è stato attivista gay per anni, poi ha vissuto il passaggio all’eterosessualità. Nessuno lo ha costretto ad approdare all’eterosessualità. Anzi, lui dice: “Non avevo mai sentito nessuno dirmi che l’omosessualità fosse peccato, sbagliato… al contrario, tutti mi facevano pensare che era la cosa più normale del mondo assecondare le mie pulsioni e io credevo che potesse essere così e basta”. A quattordici anni, frequentò un consultorio, dove lo psicologo gli disse: “Non preoccuparti per quello che senti, sei semplicemente omosessuale” e invitò la madre a “lasciarlo libero di seguire le sue pulsioni”. Lei non lo ostacolò, tanto che a 17 anni già frequentava i locali gay: era pure stato ingaggiato come ballerino. Nulla a che vedere con le storie in cui gli adolescenti sono portati di peso a fare terapie riparative o a ricevere esorcismi “per guarire” dall’omosessualità. Nel suo caso erano tutti pronti a sostenere la sua libertà. Peccato che pochi si siano preoccupati di ascoltare davvero quel ragazzo. E così Luca ha vissuto infelicemente da gay molto a lungo.
Per vie traverse, ormai trentenne, si è avvicinato alla fede e in concomitanza a questo è arrivato a fare un percorso di psicoterapia: dove ha capito che in famiglia aveva vissuto delle dinamiche disfunzionali. Ha intrapreso un percorso dove ha capito la verità su stesso: voleva vivere al fianco di una donna. Luca ora ha una moglie, è padre di famiglia. E dice di essere felice. Può piacere, non piacere: ma è la sua vita. E merita rispetto come chi trova appagamento nella propria omosessualità. Invece a Luca viene detto continuamente di tacere. Con le sue scelte sarebbe “deviante”. Potrebbe cioè “condizionare negativamente” persone che faticano ad accettare la loro omosessualità. Vogliamo fare nomi? Ad esempio, è Vladimir Luxuria che di fronte a storie simili reclama la “censura”. Ma io mi chiedo: perché? Perché non far parlare anche Luca di Tolve, così da aiutare anche persone come l’amico di Povia che – a detta degli psicologi – pensano di essere gay… ma non lo sono?
Un amico mi ha detto: “Non capisco quegli etero che vedono negli omosessuali un pericolo per sé”. E ha ragione. Non li capisco neppure io. Come non capisco chi vede un pericolo in un omosessuale che vuole conoscere fino in fondo sé stesso e, alla fine, ritorna all’eterosessualità e sposa una donna. Qualcuno (psicologi compresi) potrebbe dire che nemmeno Luca di Tolve era veramente gay. Beh, mi sembra ovvio. Ma chi è stato, a 14 anni, a dare a Luca un’etichetta ben precisa (“Tu sei gay”), invece di aiutarlo a fare chiarezza? Chi non gli ha permesso di ascoltarsi davvero? Non è stato proprio… uno di loro?
“Mi è stato negato di sognare una famiglia, una vita con una donna, anche se dentro di me lo desideravo. Mi hanno detto fin da giovanissimo: tu sei gay e sembrava che non potesse essere diversamente”. Quanti come Luca oggi sono confusi ma non possono ascoltare sé stessi fino in fondo o ascoltare storie di questo tipo perché oscurate il più possibile dai media? C’è una legge che dovrebbe davvero essere approvata all’unanimità e che andrebbe anzitutto scolpita nei nostri cuori: quella dell’amore. Verso tutti. E per davvero. Ma amare significa anche aiutare l’altro a capire sé stesso, a fare chiarezza. Perché una libertà senza verità non è solo inutile, è perfino dannosa. Ricordiamocelo. Sempre. Anche quando scendiamo nelle piazze.
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