Figli “orfani di Dio”, colpa anche “dell’indifferentismo religioso” dei genitori?

genitore

Lasciare i figli liberi di scegliere la propria religione? Sì certamente, ma se non presento loro la religione come faranno a sceglierla? Quella della libertà non sarà una scusa per giustificare l’assenza della fede?

Qualche tempo fa, mentre tornavo da un viaggio, in treno ho discusso pacificamente con un uomo la cui visione della vita era molto diversa dalla mia. Ad un certo punto mi ha detto che se educo sin da piccoli alla fede cristiana i miei bambini, non li lascio “liberi di scegliere la fede che vogliono”.  La persona che avanzava questa critica – un padre di famiglia – offriva anche un paragone con le comunità integraliste dove la fede diventa pretesto per uccidere. Diceva: “Tu porti tuo figlio in chiesa, gli dai in mano libri religiosi, gli parli dei santi. Se lo fai sempre, se gli fai vedere solo quello, lui conoscerà solo quel mondo e non potrà fare delle scelte libere. Crederà che sia l’unica strada possibile. Allo stesso modo un bambino cui viene dato un mitra in mano e a cui viene detto di sparare agli infedeli crederà che quella sia l’unica strada possibile per raggiungere il Paradiso. Io sono contro ogni forma di fondamentalismo e ai miei figli non voglio imporre una strada. Sceglieranno loro da grandi”.

A quel punto gli ho domandato se fosse davvero sicuro di lasciare i suoi figli più liberi dei miei (era infatti padre di un ragazzino di 12 anni e di un bambino di 4). Lui sosteneva di “non condizionarli” poiché non proponeva loro alcuna fede. Ma il “relativismo religioso” (ovvero: una fede vale l’altra, scegli quella che ti pare… oppure nessuna, che tanto è uguale: sono altre le cose che contano nella vita) non è forse una “visione della fede” ben precisa, che segnerà la loro crescita? Voglio dire, “il vuoto spirituale”, la “scelta di non scegliere”, la riluttanza ad approfondire insieme le questioni che riguardano il senso della nostra vita (Esiste un Dio? Chi è? Perché vivo? Dove trovo la verità del mio stare al mondo?) – in una espressione, l’indifferentismo religioso – non offrono forse al figlio una prospettiva da cui sarà inevitabilmente influenzato? Anche lui offre una “forma di educazione religiosa” con cui il ragazzo o la ragazza dovrà fare i conti, quando sarà grande.

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È vero: i miei bambini stanno imparando a sostare davanti al Santissimo perché io ce li porto, stanno conoscendo le prime preghiere e le storie di alcuni santi, stanno vedendo Gesù come un Amico speciale e ci parlano, a volte. Questo li condizionerà (saranno “costretti” a confrontarsi con l’educazione cristiana ricevuta, anche qualora vorranno rifiutarla), ma i figli di quest’uomo non sono anch’essi condizionati dal momento che non sanno – perché non lo sanno i genitori – che in Cielo hanno un Padre che li ama? Non condiziona dei bambini anche imparare a vivere come “orfani di Dio”? Mi ha sorpreso che questo stesso papà si lamentava del fatto che il figlio maggiore, ormai prossimo ai tredici anni e vicino alla Cresima, non sapesse nulla del Vangelo, della Chiesa, dei sacramenti e che facesse la Cresima “tanto per farla”, senza dare valore al Sacramento. Si lamentava dell’incoerenza e dell’indifferenza, ma… quel ragazzino – che certamente, nell’arco della vita, potrà cambiare – non sta adesso imitando il padre? Non sta forse ricevendo la Confermazione con lo stesso atteggiamento con cui il padre ha chiesto per lei il Battesimo, dodici anni prima? (Perché sì, in tutto questo, i figli sono entrambi battezzati…).

Parliamo tanto di libertà intesa come “non influenzare”, ma non esiste una libertà simile per dei bambini che sono per natura affidati alle cure dei loro genitori. È inevitabile che vengano influenzati dalla famiglia, nel bene e nel male. Se un bimbo nasce in Francia, parla francese. Se nasce in Inghilterra, parla inglese. Tutti i bambini del mondo, volenti o nolenti, sono “condizionati” dall’ambiente in cui crescono. E, inevitabilmente, respirano la fede – o l’assenza di fede – dei loro genitori. Il punto non è se condizioneremo i nostri figli. Perché lo faremo. Tutti. Credenti e no.  Il punto è se siamo pronti a lasciarli liberi di rinnegare ciò che abbiamo creduto fosse la strada migliore da seguire, una volta divenuti grandi. “Se tuo figlio volesse diventare musulmano?”, mi ha domandato questo papà. “Potrà farlo. Credimi, io non gli impongo l’amicizia con Gesù. Io glielo presento, ma quando sarà grande deciderà lui. Proprio come, spero, potranno fare i vostri figli! A proposito… se tuo figlio si facesse prete?”. Lui ha fatto il gesto delle corna verso il basso. Scherzava? Forse. Ma mi sono ugualmente sentita di suggerire coerenza e di seguire lui per primo i consigli che offre sull’importanza di lasciare liberi i figli.




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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