“Non vorrei vedere, ma l’obiezione di coscienza non mi esonera dall’assistere”

ospedale

L’esperienza di un Medico obiettore

In un reparto di “Ostetricia e Ginecologia”, morte e vita si affrontano continuamente. Un minuto prima una madre abbraccia il proprio figlio, quello dopo un’altra madre se ne libera attraverso l’aborto. Ed io sempre lì, sulla linea di confine.  

Il reparto di “Ginecologia e Ostetricia” è il luogo in cui ogni giorno “morte e vita si affrontano in un prodigioso duello”. È quel luogo in cui medici, infermieri, ostetriche, OSS sono continuamente a contatto con le fonti della vita. 

Tuttavia, lo sono secondo le ideologie del mondo contemporaneo. “Cosa abbiamo in lista lunedì?”. “Due tagli cesarei, un intervento in laparoscopia, una isterectomia, tre interruzioni volontarie di gravidanza, due interventi di pick-up (prelievo degli ovociti per la fecondazione assistita)”. Ogni giorno mi rendo sempre più conto che in questo luogo oggetto di assistenza sono le fonti della vita.

Devo constatare che non sempre è così o meglio, a volte la vita è assistita e accolta. È qui che il medico, i genitori, le ostetriche sono dei veri collaboratori dell’esistenza umana. Dal loro lavoro, dal loro impegno, nasce un vagito, due occhi luminosi vedono la luce, le mamme sentono il calore del primo contatto con il loro bambino, i neonatologi si assicurano che il piccolo sia in salute: è il trionfo della vita.

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Successivamente la scena cambia: a breve salgono le “donne dell’IVG”: è il trionfo della morte. Quella vita germogliata, troppo piccola per difendersi da sola, viene attaccata da uomini ciechi. Vorrei che queste donne avessero la possibilità di vedere la realtà dell’intervento, che non può essere spiegata a parole: l’assistenza anestesiologica, il ginecologo che “raschia” per strappare via quel piccolo miracolo che portano in grembo, il sangue che cade.

In realtà nemmeno io vorrei vedere, ma l’obiezione non mi esonera dall’assistere all’intervento e forse vedere è il modo migliore per fare luce. È il momento dei pick up: sale una signora di 30 anni. “Signora, è stata già operata altre volte?”. “Sì sei mesi fa, un altro intervento come questo, non è andato a buon fine”. Da un lato chi ha ricevuto il miracolo di una gravidanza e lo rifiuta e dall’altro chi non ha ricevuto questo dono ed è disposto a tutto pur di sentire il calore di un figlio.

La paziente ha solo 30 anni ed è già al secondo intervento per ricorrere alla Fecondazione Assistita. Nonostante la giovane età, credo di leggere già la delusione nei suoi occhi: delusione di chi ha sperimentato il fallimento di una tecnica che secondo la Relazione del Ministero del 29/06/2017 ha portato alla creazione di 111.364 embrioni con la nascita effettiva di 12.836, per una percentuale totale di nati dell’11,52%.

Una percentuale un tantino bassa considerato le aspettative dei genitori e il loro investimento emotivo, economico e fisico, senza dimenticare che queste tecniche non sono prive di effetti collaterali. Mentre torno a casa da lavoro non posso fare a meno che pensare che la “Ginecologia e Ostetricia” è sì il posto in cui si offre assistenza alla vita, ma anche quello in cui si gioca con le fonti della vita, un gioco motivato sempre più da interessi economici e individualistici.




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