Discussioni tra mamme intente a prendere il sole in spiaggia: “Mio figlio ha superato i test di ammissione a tale università”; “Mia figlia partirà per l’Erasmus in Spagna se la pandemia lo permetterà”; “Mio figlio quest’anno finisce la triennale per iscriversi alla Magistrale”; “Mio figlio non è molto portato per lo studio, andrà a lavorare nell’azienda del padre”. Potrei continuare con un elenco infinito. L’argomento è sempre lo stesso: cosa fanno i nostri figli, cosa vogliono diventare. Studio e professione al centro delle preoccupazioni educative.
Ma educare un figlio è solo questo? Basta che il figlio porti a casa il foglietto della Laurea o uno stipendio soddisfacente per dire a noi stessi che abbiamo fatto un buon lavoro educativo? Perché noi genitori non parliamo mai della felicità dei nostri figli? Del rapporto spesso complicato e non semplice che abbiamo con loro? Eppure il processo educativo ha delle ricadute importanti anche su di noi. Il problema reale è che siamo abituati a pensare la relazione educativa solo in termini unidirezionali. Cioè siamo noi che dobbiamo dare qualcosa ai nostri figli e consegnare loro la formazione. Ma non è così. Educare significare entrare in relazione con un altro, che anche se nostro figlio o nostra figlia è diverso da noi, lo ripeto per i più sordi, diverso da noi. Un essere unico e irrepetibile. Accettare la sfida della comunione significa entrare in una relazione di reciprocità in cui anche ci educa si lascia educare in una dimensione affettiva e relazionale autorevole e mai autoritaria.
Quante cose ho imparato da quando sono diventata mamma. E le ho ricevute proprio da mio figlio. Essere genitori è generativo per se stessi perché cambia letteralmente il modo di amare, di essere al mondo, di lavorare, di pensare, di vivere la propria fede. L’esperienza della genitorialità è una grande occasione di crescita perché mentre si aiuta una persona a prendere coscienza della propria identità per assumere liberamente il compito di costruire la propria personalità nella storia, il genitore matura la propria vocazione nel mondo.
E cosa vogliamo dire della sofferenza che accompagna l’educazione? Educare richiede non solo la pazienza e la gradualità ma anche la disponibilità a soffrire per le persone che sono affidate. Educare significa generare ogni giorno, partorire ogni giorno e questo non può essere fatto senza fatica e sofferenza. E questa sofferenza ci purifica e se accolta e ben incanalata ci rende persone migliori.
La felicità dei nostri figli non ha nulla a che vedere con le professioni o il numero di Lauree che prenderanno. Sono solo strumenti per vivere da adulti nel mondo. La loro felicità dipenderà dal sentirsi amati e voluti bene dai genitori di questa terra e dal Padre del cielo e in nome di questo amore impareranno ad amare a loro volta le persone loro affidate. E questo è un buon modo per essere e restare felici…
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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