13 Luglio 2021
“Sentivo che dovevo chiedere perdono alla mia bambina” | 13 luglio 2021
Qualche volta, nell’album dei ricordi del cuore, quello che puoi consultare solo con Dio nell’intimità della preghiera, vengono fuori volti di persone che ho conosciuto per poco tempo ma che hanno lasciato un segno indelebile nel mio cuore. Così in queste sere mentre passeggiavo in giardino pregando il Rosario, Daniela è riaffiorata alla mia mente. A cena, mio marito mi aveva parlato del caso di una coppia di suoi conoscenti. Lei era in attesa, lui non voleva sapere nulla di questo bambino e si era defilato. Una storia molto simile a quello che vi racconto.
“Quando ho scoperto di essere incinta, la mia storia con Antonio era cominciata da pochi mesi. Ci conoscevamo da piccoli ma solo nell’ultimo tempo l’amicizia aveva lasciato il posto all’amore. O almeno a quello che credevo fosse amore. La notizia della gravidanza mi faceva paura ma era una paura mista a felicità. In fondo lo amavo e desideravo costruirmi una famiglia e avere dei figli. Avevo 24 anni, lui lavorava. Mi sembrava tutto perfetto”. Gli occhi di Daniela si illuminavano ancora mentre pensava a quel progetto d’amore che per un attimo aveva colorato i suoi giorni da giovane innamorata. Ma il sogno presto si scontrò con un netto rifiuto di Antonio. “Io non voglio sapere nulla né di te né di questo bambino”. Fu la sua risposta. E Daniela si sentì improvvisamente sola. Cercò di parlarne con una sorella. Non aveva il coraggio di confidare tutto ai suoi genitori. Non voleva deluderli. Anche la sorella le consigliò di togliersi al più presto quel problema dal cuore, così Daniela si recò al Consultorio della sua città. La ragazza che l’accolse, dopo averla ascoltata frettolosamente, le consigliò di parlarne con i suoi genitori. Ma Daniela fu irremovibile su questo punto.
Il colloquio con lo psicologo non è obbligatorio e Daniela scelse di evitare quella ulteriore sofferenza. Le diedero appuntamento per l’ecografia. Daniela ricordava benissimo quel giorno. Era seduta sul lettino con il viso girato dall’altro lato per non vedere il suo bambino nel monitor. Ma una forza irresistibile la costrinse a guardare quel girino muoversi così velocemente nel suo ventre. Era distrutta. Mandava continuamente sms ad Antonio con la speranza che lui potesse cambiare idea. Ma non ricevette mai nessuna risposta. Le diedero l’appuntamento per il 4 maggio.
In ospedale tutto si svolse secondo un copione squallido e senza calore. “Tornata a casa, ho sentito subito l’esigenza di confessarmi. Ho pianto tutte le mie lacrime ma non mi sentivo riconciliata con Dio”. Daniela ha cercato di riprendere in mano la sua vita. Un nuovo amore sembrava distoglierla da quel dolore ma dopo cinque anni Daniela si accorse che il suo ragazzo non intendeva costruire con lei niente di duraturo. Decise di lasciarlo. Da un po’ di tempo aveva cominciato a frequentare la parrocchia vicino casa. Partecipava ai momenti di preghiera e di catechesi. “Avevo compreso l’importanza di vivere un fidanzamento casto e orientato al matrimonio. Volevo una famiglia e lui no”.
Il distacco dal fidanzato fa venire a galla tutto il dolore per l’aborto vissuto anni prima. Daniela sprofonda in un’angoscia assordante. A tratti le sembra di rivivere anche il dolore fisico dell’aborto quando aveva sentito che quella vita dentro di lei le veniva strappata con prepotenza. Si faceva sempre la stessa domanda: “Dov’è mio figlio?”. Aveva cercato altre confessioni. Si sentiva sempre in dovere di chiedere perdono. Fino ad essere rimproverata dal suo confessore: “Basta, Dio ti ha perdonata figlia mia. Basta con questa sofferenza”. Eppure Daniela sperimentava che c’era qualcosa di irrisolto nella sua vita. Perché se Dio l’aveva perdonata, non riusciva a sentirsi sollevata? Una notte insonne, come tante, cerca da internet qualche risposta e la trova. Un’Associazione che si occupa del post aborto, la Vigna di Rachele. L’incontro con le persone di questa realtà è straordinario. E nel ritiro Daniela fa un’esperienza spirituale intensa e risanatrice. “Durante quei giorni ho dato un’identità a mio figlio. Ho pensato che fosse una bambina e le ho dato un nome: Sara”. Mi disse con quel guizzo negli occhi di tutte le madri che parlano dei loro figli. “Sapevo che Dio mi aveva perdonata ma lì durante quei giorni di grazia avevo capito che dovevo chiedere perdono anche alla mia bambina, perché le avevo fatto del male. Le avevo impedito di vivere la sua vita”.
E improvvisamente Daniela sentì sgorgare dal suo cuore un dolore nuovo, un dolore catartico, sano, un dolore redento. “Sentivo che la mia bambina mi aveva perdonato e così l’ho affidata a Dio”. Da questo momento per Daniela inizò una nuova vita. L’eucarestia diventa il suo pane quotidiano. La fede le dona la forza di confidare il dramma vissuto ai suoi genitori. Contrariamente a quanto pensava, nessuno la giudica, nessuno ha una parola di condanna per lei. “Scrivilo Giovanna, scrivi che quelle che possono sembrare difficoltà insormontabili in realtà se si ha il coraggio di farsi aiutare diventano spesso scuse futili e banali. Scrivilo che poi la sofferenza è come un mostro a sette teste che ti stritola il cuore fino a soffocare ogni anelito di felicità. Scrivilo ti prego”. L’ho fatto Daniela. Per te, per la tua bambina e per tutte le donne che si riconosceranno nella tua storia.
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