Catechista

Il catechista: un ministero antico, una missione sempre attuale…

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Foto: tomertu / Shutterstock.com

du Vito Rizzo

Perché il ministero laicale di catechista? In un’epoca in cui diventa sempre più urgente trovare forme autentiche di testimonianza cristiana è bene che il ruolo strategico del catechista sia rivestito, anche formalmente, della sua dignità ministeriale.

La scelta di Papa Francesco di istituire il ministero laicale di catechista è tutto fuorché banale. È una grazia che è parte integrante del corpo della Chiesa. Come dice San Paolo «Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri» (1Cor 12,28). Il Papa, facendo tesoro dello slancio del Concilio Vaticano II cui sta dando, con passi concreti, costante e progressiva attuazione, ha voluto ricordare come «fin dai suoi inizi la comunità cristiana ha sperimentato una diffusa forma di ministerialità che si è resa concreta nel servizio di uomini e donne i quali, obbedienti all’azione dello Spirito Santo, hanno dedicato la loro vita per l’edificazione della Chiesa». È la grazia che si riceve con il battesimo. Ecco perché in un’epoca in cui diventa sempre più urgente trovare forme autentiche di testimonianza cristiana è bene che il ruolo strategico del catechista sia rivestito, anche formalmente, della sua dignità ministeriale. Non ci si può accontentare di raccogliere giovani e meno giovani di buona volontà che hanno il semplice merito di frequentare abitualmente la Messa domenicale; bisogna che gli stessi siano investiti della consapevolezza di dover «rispondere a chiunque domandi ragione della speranza» (1Pt 3,15).

Servire la Chiesa, dedicando cura alla propria formazione dottrinaria, dogmatica, liturgica ed esperienziale. Un cammino di crescita e di conversione costante che trovi nel ministero di catechista l’occasione per dare forma a quella gioia dell’annuncio che Papa Francesco ha posto come invito programmatico del suo pontificato. Evangelii gaudium, appunto. È un compito complesso, impegnativo, assorbente ma che consente di assaporare la gioia di sentirsi cristiani al di là delle etichette nominalistiche. È un cammino umano, di conversione. Che mette alla prova e che offre occasioni di incontro, di confronto, di crescita. Portare la bellezza di Cristo nella vita di altre persone. Donare vita e vedere la propria vita arricchita di una bellezza condivisa. Come afferma il direttorio per la Catechesi, ripreso nel Motu Proprio da Papa Francesco: «Il catechista è nello stesso tempo testimone della fede, maestro e mistagogo, accompagnatore e pedagogo che istruisce a nome della Chiesa. Un’identità che solo mediante la preghiera, lo studio e la partecipazione diretta alla vita della comunità può svilupparsi con coerenza e responsabilità». Tutti elementi, questi, che non possono mancare e che fanno fare esperienza di quella santità della porta accanto che Papa Francesco ha promosso anche nella Gaudete et Exultate. Si tratta di ritornare al Kerygma, al primo annuncio. Condividere non i dogmi e le prescrizioni morali, non soltanto il dono della Parola di Dio e delle Preghiere, ma la bellezza dell’amore di Dio che si è fatto uomo, ha preso su di sé la nostra umanità e con la Sua passione, morte e resurrezione la ha redenta.

Leggi anche: Catechisti istituiti: un’utopia o il sogno di Dio? | 14 maggio 2021

La bellezza di far vivere questo amore nella gioia e nella purezza dei bambini che si affacciano alla prima Confessione e alla Prima Comunione. La bellezza di una Speranza che accompagni i genitori che presentano i propri figli al fonte battesimale come Gesù al Tempio dopo la sua nascita nella grotta di Betlemme. La bellezza di una consapevolezza di una gioia da tradurre in esperienza concreta di vita che prende forza e vigore con i doni dello Spirito Santo di una rinnovata Pentecoste. La bellezza di una Fede che si fa dono di amore reciproco in chi si prepara a fare della propria vita, in comunione con il proprio marito o la propria moglie nella famiglia cristiana, il luogo teologico più simile al Bereshìt divino. Un principio che crea, una benedizione che nell’unione di amore genera Amore. La bellezza di cammini inesplorati che aprono alla gioia dell’incontro riconoscendo che la grazia di Dio rompe gli schemi umani per raggiungere i cuori che possono anche sembrare apparentemente più distanti. Come riconosce Pietro incontrando Cornelio «sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia […] annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti». (At 10,34-36)

Questa bellezza aveva bisogno di una forza ministeriale che ne riconoscesse con pienezza «una forte valenza vocazionale». Di qui il necessario discernimento da parte del Vescovo e il formale rito di istituzione ministeriale. Come sottolinea ancora il Papa «esso, infatti, è un servizio stabile reso alla Chiesa locale secondo le esigenze pastorali individuate dall’Ordinario del luogo, ma svolto in maniera laicale come richiesto dalla natura stessa del ministero». L’identikit del catechista che viene descritto è un invito alla conversione anche in seno alle nostre comunità: «Uomini e donne di profonda fede e maturità umana, che abbiano un’attiva partecipazione alla vita della comunità cristiana, che siano capaci di accoglienza, generosità e vita di comunione fraterna, che ricevano la dovuta formazione biblica, teologica, pastorale e pedagogica per essere comunicatori attenti della verità della fede, e che abbiano già maturato una previa esperienza di catechesi (CD 14)». Ma, sottolinea ancora Papa Francesco, non solo «è richiesto che siano fedeli collaboratori dei presbiteri e dei diaconi», è necessario altresì che entrino nella consapevolezza missionaria cui è chiamato ciascun componente della Chiesa rendendosi «disponibili a esercitare il ministero dove fosse necessario», e, soprattutto, che siano «animati da vero entusiasmo apostolico». L’entusiasmo dell’annuncio, la gioia del Vangelo.




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