8 marzo 2021
8 Marzo 2021
Joy, il suo grido è il mio pianto | 8 marzo 2021
L’ho letto tutto di un fiato. Mi fermavo solo ogni tanto per piangere. Più volte, nei passaggi più dolorosi, ho chiuso il libro che avevo tra le mani e alzando lo sguardo verso il quadro della Madonna del Perpetuo Soccorso, le dicevo: “Come è possibile per una donna subire tutta questa violenza?”.
Il libro è quello di Mariapia Bonanate, una scrittrice straordinaria che racconta la storia di Joy una ragazza nigeriana con il sogno di venire in Italia per un futuro migliore per lei e la sua famiglia. Nel libro “Io sono Joy. Un grido di libertà dalla schiavitù della tratta” edito da san Paolo con la prefazione di Papa Francesco, l’autrice racconta in prima persona le vicende drammatiche che accompagnano la traversata che Joy compie a soli 22 anni da Benin City a Castel Volturno.
Un viaggio cominciato inseguendo un sogno. Ingannata da un’amica che le prospettava un lavoro come badante della mamma ormai anziana, Joy si mette in cammino insieme ad altre persone verso il suo futuro colmo di speranze ma nel tragitto l’inganno rivela già il suo volto più torbido: patimenti, violenze, mesi trascorsi nei campi di detenzione libici, la violenza sessuale perpetrata e ripetuta sotto gli occhi di tutti, la morte di Grace, appena tredicenne, in seguito alle violenze subite, il naufragio in mare e poi quando finalmente Joy tocca il suolo italiano e pensa di essere libera, arriva l’ultimo schiaffo. La donna anziana che doveva accudire altro non è che una “madame”, una che ha pagato per farla lavorare come prostituta sulla litoranea di Castelvolturno.
Lì per un anno, Joy è costretta a subire ogni genere di umiliazione e di violenza. Si ribella, cerca di avvisare la mamma, telefona all’amica che l’ha tradita ma nessuno ha il coraggio di aiutarla. Non si arrende, cerca in tutti i modi di difendere il bambino, frutto della violenza subita durante il viaggio della speranza, ma anche questo le viene negato e il bambino strappato via con forza dal suo grembo da un medico improvvisato in una lurida casa di periferia. Diventa Jessica così come i suoi aguzzini scelgono per lei strappandole il nome e anche la dignità.
Fino a quando, Joy, trova la forza per fuggire, per denunciare, per rinascere. Viene aiutata da suor Rita Giaretta della Casa Rut e dai membri della cooperativa NewHope. È l’inizio della rinascita. Poco per volta Joy si riappropria del suo corpo e della sua vita.
Come ha fatto a resistere? Come ha potuto sopravvivere a tanta inaudita crudeltà? Me lo chiedevo ad ogni pagina e di tanto in tanto come un sorso di acqua pulita trovavo tra le righe la risposta. Joy ha avuto fede, una fede salda, messa a dura prova ma mai smarrita. Una fede che diventava fiducia nei momenti più disperati, una fede capace di contagiare i compagni del viaggio infernale. Una forza meravigliosa che le donne hanno di prendersi cura degli altri sempre, in ogni circostanza.
Come è possibile che tutto questo sia accaduto? Molti ignorano che la tratta delle nigeriane è un fenomeno doloroso che negli ultimi anni si è intrecciato con il traffico dei migranti lungo le rotte del Sahara, della Libia e del Mediterraneo. Solo nel 2016 sono state 11mila le donne sbarcate sulle coste meridionali dell’Italia dopo essere sopravvissute all’inferno del viaggio. La maggior parte giovanissime e incinte in seguito alle violenze subite. Dal 2014 esiste in Italia un Piano nazionale anti-tratta ma già molti anni prima le religiose dell’Usmi hanno dato vita a una rete di case di accoglienza per queste donne. Casa Rut di Caserta è una di queste. Qui Joy ha avuto un’occasione per ricominciare. “Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani” (Lettera alle donne, Giovanni Paolo II, 1995).
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